E' una settimana che non alimento questo "armadio delle parole" e qualcuno me lo ha già fatto notare perchè - dicono gli esperti - il blog è come un tamagoci: va nutrito quotidianamente altrimenti si spegne in una lenta agonia, muore per asfissia di idee e pensieri. Ma questa settimana di digiuno mi è servita per ascoltare le cronache di tanti colleghi dal fronte del terremoto, un fronte instabile, fatto di scosse continue, di dolore, disperazione, distruzione. Un fronte popolato da tanti maestri, molti sciacalli e qualche cane.
Saranno stati ingenerosi quei tifosi che in uno stadio di Serie A sabato hanno esposto uno striscione contro la categoria (reggere ore di diretta televisiva mantenendo alta la qualità dell'informazione non è impresa facile), ma forse, fra le terre martoriate d'Abruzzo, si è persa, come al solito, un'occasione di riscatto professionale. L'occasione per smentire quei sondaggi che, nell'immaginario dell'opinione pubblica ci vogliono con credibilità e autorevolezza pari a zero.
Una catastrofe come il terremoto è un pozzo senza fondo di storie, spunti giornalistici, racconti di vita e di denuncia. Basta saperli cogliere con rispetto, con spirito di condivisione con la discrezione che fa di un giornalista, non un rompiscatole professionista, ma una persona che racconta, che aiuta a capire la tragedia, che aiuta a condividere i bisogni di questa gente che con il passare dei giorni e delle settimane avranno una grande necessità da soddisfare: quella di non essere dimenticati, in questa Italia tanto incline alla commozione e alla mobilitazione nell'immediato, tanto portata alle amnesie con il passare del tempo. Mi sembra che i giornali abbiamo soddisfatto con professionalità il loro compito, mi pare che non si possa dire altrettanto di telecamere e tv. Bussare alle porte di gente che dorme in macchina per chiedere come si sente, non è giornalismo: è molestia; chiedere "come sta" ad un uomo con la maschera ad ossigeno in un letto d'ospedale non è giornalismo: è qualcosa che si avvicina molto all'imbecillità. E' difficile fare televisione, è difficile fare buona televisione, ma i maestri, anche se sono sempre più merce rara, non mancano nella tv di Stato come in quelle commerciali (la barba bianca di Toni Capuozzo, cresciuta nelle notti passate fra tende e macerie, racconta più di tanti trattati di giornalismo): basta saper far tesoro degli insegnamenti e magari lasciar perdere smanie di protagonismo fuori luogo. E non ditemi che per fare buona tv serve sbattere un microfono in faccia a madri affrante e anziani disorientati: guardate la sezione "no comment" del sito di Euronews e capirete; guardate il video sul terremoto in Abruzzo e comprenderete quanto i commenti talvolta siano superflui: basta l'abbaiare di un cane, l'incrociarsi di lingue e dialetti dei soccorritori per testimoniare un dramma. Noi giornalisti in fondo, con le telecamere o con il taccuino, non siamo protagonisti siamo testimoni. E questo non tutti, purtroppo, l'hanno capito...
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