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lunedì 6 aprile 2009

Chissà che notte sarà in Abruzzo?





Sarà il tarlo che hai dentro da quando sei nato, sarà quella brutta malattia che ti fa mettere il naso nella storia delle persone, vicine o lontane che siano. Sarà tutto questo, ma oggi non sono riuscito a togliere gli occhi da quelle macerie per le strade dell'Aquila, da quei paesini spazzati dal soffio del terremoto, da quei morti, da quei muri sbriciolati. E' come se un po' di polvere ti si fosse depositata dentro. Uscendo di casa ho fissato quell'intercapedine che mi divide dall'abitazione del vicino: mi hanno spiegato che, in caso di terremoto, dovrebbe dare alle villette a schiera quell'elasticità necessaria per assorbire l'onda d'urto di un sisma. Ho guardato quel solco celato da una copertura di metallo e mi sono chiesto: basterà? Così come basterà la dose extra di cemento armato che le leggi antisismiche impongono in un paese a rischio, come a rischio è buona parte della provincia di Brescia?
Qui i conti del terremoto li abbiamo fatti quasi cinque anni fa è quel soffio che ci ha attraversato l'anima, che ha costretto centinaia di persone di Garda e Valsabbia fuori casa per mesi, fortunatamente senza piangere morti e feriti, è ancora vivo; ancora ci terrorizza, ci fa sobbalzare al minimo sussulto (e da quel giorno, a conferma che non siamo in un'isola felice, di sussulti, più o meno robusti, ne abbiamo vissuti sin troppi).
Forse, proprio per questo, vedere quegli sguardi colmi d'angoscia, quegli occhi pieni di lacrime, ci rendere più facile e autentico condividere un dolore che è un po' anche il nostro. Che notte sarà quella che sta arrivando sotto le tende di Abruzzo? Che giorni saranno quelli che attendono quegli italiani all'ombra del Gran Sasso? Saranno notti e giorni in cui crescerà la consapevolezza che tutto non sarà più come prima. Mai più.
Nel 1980, dopo il terremoto dell'Irpinia, centinaia di morti, interi paesi rasi al suolo, giravi per le strade bombardate dal fato di Calabritto o Sant'Angelo dei Lombardi (due centri fra i più colpiti) e trovavi gli anziani che ti prendevano per mano e ti portavano a vedere la loro casa, di cui era rimasto solo lo scaldabagno appeso all'unico muro maestro non crollato e il quadro della Sacra famiglia alla parete di quella che un tempo doveva essere la camera da letto. Raccontavano, piangevano e morivano lentamente dentro. In uno di questi paesi un gruppo di volontari bresciani aveva ricostruito in una tensostruttura il nucleo storico del borgo: avevano recuperato dalle macerie i ciotoli delle strade e li avevano fusi, in una ricostruzione tridimensionale, alle gigantografie dei palazzi in tutto il loro splendore. Il risultato era un paese virtuale che non ci sarebbe stato più e nel quale molti abitanti stavano ore seduti in mezzo piangendo, sognando e tentando così di lenire una ferita che forse non si sarebbe mai rimarginata.
Che notte sarà quella in Abruzzo? Sarà la notte del lutto e dell'angoscia, del ricordo per i morti e del pianto per i vivi. Sarà una notte che, speriamo possa restituire un'alba di speranza. Sotto le macerie, forse, qualche fiore è rimasto. Buonanotte Abruzzo...

1 commenti:

Micky act ha detto...

Sarò una debole femminuccia, ma le immagini e le parole d questo terribile terremoto mi fanno salire le lacrime agli occhi...I pochi secondi si perde tutto, gli amici i parenti, la casa, contenitore di sentimenti, di ricordi, di ore passate insieme nella buona e nella cattiva sorte, il vestito preferito, l'orso di peluches, le ricette della nonna, le fotografie...a chi è sopravvissuto auguro di non impazzire, io non so se ne sarei in grado. Mi commuove pensare che in quei momenti non contano più i pettegolezzi di calciatori e veline, ma solo la forza dei volontari che per anni sono vissuti nell'ombra, hanno studiato, si sono esercitati, hanno messo a disposizione il proprio tempo e le proprie energie. mi auguro che l'Italia si renda conto di quale risorsa dispone e non se ne ricordi solo in momenti come questo.