"A Milano...". Pedala Tores, pedala, in sella alla tua biciclettina blu. Oggi niente scuola, a Brescia hanno fatto scoppiare una bomba. Pedala Marco, pedala, che oggi si va in piazza, hanno messo una tenda sul sagrato, come quando la grande fabbrica stava in crisi, come quando la protesta si fa più dura. In piazza hanno appeso le edizioni straordinarie dei giornali con le facce dei feriti, le foto dei morti, giovani donne, giovani uomini, pensionati, insegnanti, operai. Quello lo conosci anche tu, è uno del tuo paese, ora è in un letto d'ospedale, se la caverà. Arriva il pullman da Brescia, i volti sconvolti, le lacrime e la paura dilagano anche qui, fra i campi di frumento ed erba medica della Bassa, bianca, democristiana ma antifascista.
Pedala Tores, pedala, che c'è da andare a casa, non puoi sempre stare in piazza a berti gli umori della gente, a sentir parlare di politica, tu che gli undici anni li compi a giugno e di poltica, di fascisti e comunisti non sai nulla. Pedala verso casa, Marco, che oggi è giorno di funerali alla tv. Li guardi con mamma e papà e ti sembra di stare lì, perchè il diacono a fianco del vescovo lo conosci bene, è il figlio del tabaccaio che presto diventerà prete. Ora è lì a leggere il vangelo in quella piazza arrabbiata, tra quelle bare, tra quelle lacrime. C'è anche la sorella della tua amica al funerale, studia da infermiera e oggi non è andata a scuola per stare in piazza. Alla sua mamma però non l'ha detto, perchè lei teme altre bombe, altro sangue, altra violenza. Quanto è lontana la città vista della Bassa in questa primavera del '74, quanto appare matrigna, spietata, violenta.
"A Milano...". Quel discorso lo hai già sentito decine di volte, lo sai a memoria come una canzone di Ligabue, ma quando arriva a quel punto stringi i denti, ma non riesci a vincere il sussulto, la pelle d'oca. Tutto come la prima volta, quando alle medie ti fecero vedere il filmato sulla strage in un cinema del paese. Ora sono passati più di 30 anni da quel discorso, dal suono sordo della bomba, dalla imprecazioni di chi quel giorno stava in piazza, ma le sensazioni sono le stesse, quella rabbia è la tua rabbia, quell'emozione è la tua emozione.
"A Milano..." Scrivi Tores, scrivi. Riempi questo taccuino, blu come la biciclettina di quando eri piccolo. Riempilo, come hai fatto in questi di anni, di dati, nomi, circostanze, interviste, storie di uomini, di inchieste, di tenace ricerca della verità. Mai avresti pensato che quella bomba scoppiata quando avevi 11 anni finisse per diventare una fedele compagna di viaggio del tuo lavoro, finisse per diventare qualcosa di più di una storia fra le tante, finisse per riempirti le giornate, passate a leggere gli atti, i verbali, le perizie con le aggiaccianti immagini di quei corpi dilaniati e mutilati dall'odio. Scrivi, Tores, scrivi perchè oggi è un giorno particolare: è il giorno della sentenza, della verità sulla terza inchiesta, la terza indagine fitta di nomi, circostanze, pentimenti. Che scriverai su quel taccuino blu quando uscirà la sentenza? Non ti fai illussioni: gli anni e i "non so", i servitori infedeli dello Stato che non la raccontano giusta, hanno seminato un campo pieno di erbacce, troppo alte per intravedere la verità.
"Visto l'articolo 530 secondo comma, assolve..." stessa pelle d'oca, stessi denti serrati. Anche qui, come in quella registrazione sentita tante volte, l'epilogo era già scritto, ma nulla ti ha salvato da quel colpo duro nello stomaco, da quel senso di impotenza che vedi ora dipinto sul volto di pm, avvocati e di chi in piazza, 36 anni fa c'era. Sposti lo sguardo, fai slalom tra i fotografi e scorgi Manlio Milani, il presidente dei famigliari delle vittime della Strage, con le mani strette al volto. Sembra l'urlo di Munch, sembra un fantasma tra i fantasmi che popolano questa storia. Fantasmi senza requie come: Giulietta Banzi Bazoli, 34 anni, insegnante, Livia Bottardi Milani, 32 anni, insegnante, Euplo Natali, 69 anni, pensionato, Luigi Pinto, 25 anni, insegnante, Bartolomeo Talenti, 56 anni, operaio, Alberto Trebeschi, 37 anni, insegnante, Clementina Calzari Trebeschi, 31 anni, insegnante, Vittorio Zambarda, 60 anni, operaio.Quante volte hai annotato quei nomi sul tuo taccuino blu, ora, lasciato palazzo di Giustizia, sei qui in Piazza della Loggia, davanti a questa colonna ferita dove qualcuno ha lasciato un biglietto al vetriolo: "In questo luogo il 28 maggio 1974 non è successo niente". Fai appena in tempo a pensare che qui oggi la verità è morta forse definitivamente e scorgi un ragazzino attraversare la piazza. Avrà - sì e no - 11 anni ed è in sella ad una biciclettina blu. Sorridi e pensi: "Vai, pedala forte, la verità è difficile da raggiungere". Lo guardi sparire oltre il monumento alla Bell'Italia e nelle tue orecchie risuona l'eco di un comizio. "A Milano..."
"Viviamo in un'epoca promettente e drammatica che merita d'essere intensamente studiata, capita, vissuta. Questa è la verità. E in un'epoca come questa anche il mio vecchio mestiere di cronista - che teme soprattutto i momenti di banalità - torna ad essere, continua ad essere, il più bel mestiere del mondo". Piero Agostini (1934 -1992)
(dall'editoriale di insediamento alla direzione di Bresciaoggi - 12 gennaio 1990)
Il buon giornalismo
"Per fare buon giornalismo non ci vuole un'intelligenza superiore ma tenacia.Bisogna capire che un buon reportage è anche noia: bisogna esserci, aspettare,
stare concentrati, guardare tutto con grande cura, ascoltare con attenzione e preoccuparsi sempre di cercare il senso di ciò che si vede. E bussare, bussare
continuamente alle porte. Forse il mio motto potrebbe essere sintetizzato così: "toc-toc". E' questa la tenacia"
David Remnick
direttore del "New Yorker"
(da Mario Calabresi: "La fortuna non esiste" Mondadori)
Al servizio dei lettori
"Esprimi il tuo pensiero in modo conciso perché sia letto, in modo chiaro perché sia capito, in modo pittoresco perché sia ricordato e, soprattutto, in modo esatto perché i lettori siano guidati dalla sua luce".
"Una stampa cinica e mercenaria, prima o poi, creerà un pubblico ignobile".
Joseph Pulitzer (1847 – 1911), giornalista ed editore ungherese naturalizzato statunitense.
Giornalisti, giornalisti...
La citazione
A dio (fermo posta) "Eri - come la "lettera smarrita" di Pöe, nello spazio impensabile perché scontato. Eri - e sei, ora ho capito - fra le parole che ho tanto usato ed osato. Sempre ci sei stato, eri lì, ci sei ancora, e voglio decifrarti,stanarti, usando sì le parole ma in modo diverso, e in diverso modo la follia, il mestiere con cui la parola mi diventava grafia, mania, nodo, vuoto suono od effetto; e fola. Solo quello so fare, solo lì speranza che Tu adesso compaia,perfetto, magari in rima ma rimando con te stesso, in un metro o in un altro. Tu puoi elevare al cielo qualunque prosodia; purché Tu appaia, le fruste parole si faranno Parola e col mio io sepolto finalmente parlerai, che mai è stato quel ch'era forse destinato ad essere, un Io mancato, strangolato. Parlami a perdifiato. Ti cedo, ogni suono o silenzio; e già Ti vedo emergere da quella pila di parole inutilmente ... di parole inutilmente sparse nel cassetto, cancellarne rime e rumore, facendone linguaggio perfetto d'amore. Cancella anche me, cambiami, conducimi, ri-traducimi, parla Tu per sempre, Signore"
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1 commenti:
Bellissimo racconto. Grande Tores... pedala pedala!
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