lunedì 1 marzo 2010
Se il carcere scoppia i detenuti restano in caserma. Il caso Brescia
Gli arrestati? Se è facile prevedere che si tratterà di una detenzione non superiore alle 24 ore, teneteveli in cella di sicurezza. A scriverlo - ne da notizia oggi il quotidiano Bresciaoggi - è il procuratore capo di Brescia Nicola Maria Pace e quella che sembra una presa di posizione estrema ha un senso: le carceri di Canton Mombello e di Verziano scoppiano e "conferire" (scusate il termine poco unano, ma mi sembra sia quasi onomatopeico di uno spirito) alle case di reclusione detenuti che, si sa, potrebbero essere scarcerati con l'udienza di convalida o la direttissima, finisce per aggravare inutilmente il sovraffollamento.
Quindi meglio attendere processo o convalida nella cella di sicurezza della caserma che ha eseguito il fermo.
Un invito, quello del procuratore di Brescia (nella foto), che farà discutere (per le forze dell'ordine sono problemi organizzativi non indifferenti, non tutti i comandi di polizia locale, ad esempio, dispongono di celle di sicurezza, dove serve la sorveglianza 24 ore su 24) ma punta il dito verso una situazione che si è fatta insostenibile e che in questi giorni ha conosciuto anche il dramma di un suicidio.
Ecco quindi il ricorso al paliativo: nessun trasferimento in carcere per detenzioni brevi, cioè per quei reati come violazione della legge sull'immigrazione, furto, resistenza a pubblico ufficiale, piccolo spaccio di droga che, all'atto della convalida del fermo o del processo per direttissima, spesso si traducono in una scarcerazione motivata dall'applicazione della sospensione condizionale della pena (in caso di condanna) o dall'intenzione del giudice di non applicare la custodia cautelare in attesa del processo (magari perchè l'imputato è incensurato o non vi siano altri motivi per trattenerlo in cella).
Comunque la si guardi, questa presa di posizione, dà il senso di una sconfitta. La sconfitta di uno Stato che fa le leggi (ad esempio quella sull'immigrazione), ma che, giuste o sbagliate che siano, non è in grado di applicare e far rispettare; che commina pene che nessuno sconterà; che si vede costretto, perchè non è in grado di gestire una situazione ormai esplosiva (i suicidi in cella ormai sono quasi uno al giorno), a trovare scorciatoie per evitare che la gente finisca in una casa circondariale. Con buona pace della voglia di sicurezza, della certezza della pena e di tanti altri principi sacrosanti di uno Stato di diritto degno di questo nome.
Quindi meglio attendere processo o convalida nella cella di sicurezza della caserma che ha eseguito il fermo.
Un invito, quello del procuratore di Brescia (nella foto), che farà discutere (per le forze dell'ordine sono problemi organizzativi non indifferenti, non tutti i comandi di polizia locale, ad esempio, dispongono di celle di sicurezza, dove serve la sorveglianza 24 ore su 24) ma punta il dito verso una situazione che si è fatta insostenibile e che in questi giorni ha conosciuto anche il dramma di un suicidio.
Ecco quindi il ricorso al paliativo: nessun trasferimento in carcere per detenzioni brevi, cioè per quei reati come violazione della legge sull'immigrazione, furto, resistenza a pubblico ufficiale, piccolo spaccio di droga che, all'atto della convalida del fermo o del processo per direttissima, spesso si traducono in una scarcerazione motivata dall'applicazione della sospensione condizionale della pena (in caso di condanna) o dall'intenzione del giudice di non applicare la custodia cautelare in attesa del processo (magari perchè l'imputato è incensurato o non vi siano altri motivi per trattenerlo in cella).
Comunque la si guardi, questa presa di posizione, dà il senso di una sconfitta. La sconfitta di uno Stato che fa le leggi (ad esempio quella sull'immigrazione), ma che, giuste o sbagliate che siano, non è in grado di applicare e far rispettare; che commina pene che nessuno sconterà; che si vede costretto, perchè non è in grado di gestire una situazione ormai esplosiva (i suicidi in cella ormai sono quasi uno al giorno), a trovare scorciatoie per evitare che la gente finisca in una casa circondariale. Con buona pace della voglia di sicurezza, della certezza della pena e di tanti altri principi sacrosanti di uno Stato di diritto degno di questo nome.
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