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giovedì 4 marzo 2010

Il delitto di Novi Ligure e la lezione dei genitori

"C'è qualcosa da portare in salvo nella tragedia di Novi Ligure? Forse sì: la compostezza dei genitori di Omar; l'equilibrio del padre di Erika"
Eraldo Affinati
(dal Corriere della Sera del 4 marzo 2010)
La notizia è di quelle che attizzano le cronache con il suo cascame di commenti altalenanti tra il forcaiolo e il buonista: Omar Favaro, oggi 27 anni, lascia il carcere dopo nove anni di detenzione con l'accusa di aver ucciso, in una villetta di Novi Ligure, con l'allora fidanzata Erika De Nardo, Susi Cassini, 42 anni, e Gianluca De Nardo, 12 anni, madre e fratello minore della ragazza. Omar, insomma, è uno dei protagonisti maledetti del "Delitto di Novi Ligure", un fatto di cronaca tanto noto da essersi guadagnato anche una voce su Wikipedia, l'enciclopedia libera della rete. Ma non è di Omar che voglio parlare, voglio segnalarvi la bella analisi fatta sul Corriere di oggi da Eraldo Affinati, insegnante, scrittore, uno abituato ad avere a che fare con il disagio minorile.
Affinati (nella foto) abbandona la facile analisi sulla drammatica vicenda e punta l'obiettivo sulla famiglia, sulla "lezione di dignità dei tre genitori" dei ragazzi assassini: il padre e la madre di Omar, il padre di Erika, dilaniato dal doppio ruolo di vittima della tagedia e di papà di colei che quella carneficina l'ha pianificata. "Queste persone - spiega Affinati - hanno mantenuto un riserbo abbastanza raro di cui tutti noi dovremmo prenderne atto. Non si sono fatte strumentalizzare. Sono state vicine ai figli. E' impossibile immaginare cosa succede, quale dubbio e quale peso opprima una volta per sempre chi si trova davanti alla colpa di un figlio, a una vita orrenda e travolgente".
Viene quasi il dubbio - osserva lo scrittore - che sia meglio essere dall'altra parte della barricata "piangere il pianto legittimo" di chi ha subito la tragedia che affrontare una tale prova. Non per nulla le carcere sono piene di figli senza più una famiglia, scialuppe alla deriva condannate a non avere un porto, una cosa dove, anche se non si uccide il vitello grasso come nella parabola del Padre misericordioso, c'è sempre una porta aperta, una parola di conforto.
"Questi genitori - spiega Affinati - hanno cercato, per quanto possibile, di mantenere la posizione, prima di tutto accettando di caricarsi l'enorme, scomodo peso della propria responsabilità in quanto padre e madre di figli che sarebbe più facile abbandonare che tenere vicini". Quanti ne sarebbero capaci? Ho incrociato Erika tra le mura del carcere di Verziano a Brescia, ho visto in faccia, alla vigilia del loro arresto, i ragazzini (tutti tra i 14 e i 16 anni) accusati anni fa di aver massacrato a coltellate, in una cascina di Leno, la coetanea Desirèe Piovanelli. Ho visto in quei volti e in quell'incedere dinoccolato il viso e la postura di mio figlio quasi adolescente e da quel giorno mi chiedo: che fare, come prevenire e se capitasse a me? Quanto è difficile essere modelli ed educatori.
"Educare i figli non è mai stato difficile come oggi - concorda Affinati -: da una parte trionfa la deflagrazione del desiderio che spinge molti giovani a trasformarsi in maschere di se stessi; dall'altra si afferma il vuoto piombato, senza più gerarchie di valori nè vere prospettive ideali. Lo spazio di manovra dell'azione pedagogica sembra ridotto al lumicino: dove trovare la forza e la convinzione necessarie per riuscire a proporsi quali adulti credibili in un mondo in cui la moralità pubblica è sotto la suola delle scarpe e i modelli prevalenti sono talmente degradati da non suscitare più neppure l'indignazione che i nostri padri riservavano a situazioni assai meno gravi di quelle che oggi abbiamo sotto gli occhi? (...) Ci vuole coraggio per non cedere alle pretese dei figli, ma soprattutto, e lo diciamo con ammirato rispetto, ci vuole coraggio per non abbandonarli al loro destino".
L'ultima immagine che mi è stata descritta del padre di Erika è di un uomo che si aggira per il corridoio del polo universitario del carcere di Verziano con un mazzo di fiori, il piccolo omaggio d'ordinanza per una laurea che Erika ha conseguito in carcere, per una piccola conquista che, dopo gli anni della follia e della "deflagrazione del desiderio", segna l'inizio della rinascita, di un riscatto importante, di un progetto rieducativo che sta dando frutti grazie anche a quel padre con fiori al seguito, tanto emozionato quanto presente sin dagli anni del carcere minorile.
"La presenza superstite del padre di Erika e la discrezione dei genitori di Omar - conclude, non a caso, Affinati - possono essere utili a capire che il tema del giudizio, come ci hanno spiegato gli antichi, non si esaurisce di certo nella dimensione giuridica, pure storicamente ineludibile: chi sbaglia non lo fa da solo, ma sempre insieme ad altri, alterando un meccanismo che può riguardare anche più generazioni. Ecco perchè il silenzio animato di questi genitori così duramente provati e consapevoli rappresenta una lezione memorabile per i nostri tempi di suoni e lustrini".

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