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mercoledì 31 marzo 2010

Adolescenti a rischio: non solo Salò

Crescono in maniera esponenziale gli episodi di abusi sessuali tra minorenni (come quello accaduto nelle scorse settimane in una scuola media di Salò), spesso non imputabili perchè hanno meno di 14 anni. Lo dice il rapporto sull'infanzia che ogni hanno viene pubblicato da Telefono Azzurro. In dieci anni le denunce sono quasi triplicate: se non è emergenza questa non avrei altro nome per definirla.

Leggi qui sotto il rapporto di Telefono Azzurro, che contiene altri interessanti spunti di riflessioni su ragazzi, giovani e il loro futuro.
rapporto infanzia

martedì 30 marzo 2010

Abusi sessuali in classe: quali valori a 12 anni?

La notizia si è un po' annacquata nello tsumani elettorale, ma credo che sia lo specchio di una società più vero di quello che hanno saputo esprimere le urne. La notizia è quella di un abuso sessuale di gruppo su una ragazza di 12 anni costretta ad avere rapporti orali con alcuni compagni fra i banchi di scuola e durante l'ora di lezione. La giustizia ha fatto il suo corso mandando agli arresti domiciliari due minorennni di 14 e 15 anni (ripetenti), segnalandone un terzo non imputabile e facendo finire sotto inchiesta altri 12 studenti, anche questi troppo giovani per essere perseguiti, che avrebbero fatto da scudo allo scempio. Sulle responsabilità dell'insegnante e delle autorità scolastiche la partita è tutta da giocare.
Il sedici marzo, su "La Stampa", Massimo Gramellini pubblicò un Buongiorno dal titolo "Cinque euro". Vi raccontò la lettera di una madre che, in camera della figlia dodicenne, aveva trovato una busta con un migliaio di euro in contanti in pezzi da cinque. Messa alle strette, la figlia spiegò che quei soldi erano il frutto di piccole prestazioni sessuali. Cresce bene la ragazza, potrebbe facilmente ironizzare qualcuno. Se il buongiorno si vede dal mattino potremmo ritrovarla fra quindici anni europarlamentare direbbe qualche cinico "comunista".
Ma le battute - facili e scontate - lasciano lo spazio allo sconforto. Stiamo camminando nel deserto dei valori dove la sessualità a dodici anni non è una scoperta ma un mercato, una merce di scambio e di ricatto, una prevaricazione e non una condivisione, una violenza e non un gioco. Stiamo camminando in una foresta di alberi pietrificati e di canne che si spezzano al vento: una foresta di educatori immobili e distratti, un canneto di genitori strapazzati dalle intemperie e spazzati via dagli eventi.
Cosa sta succedendo ai nostri figli e alle nostre famiglie? A Travagliato, provincia di Brescia, alcune settimane fa un dodicenne ha preso il fucile del padre e ha deciso di farla finita senza che nessuno, a scuola come in famiglia, riuscisse a cogliere il suo disagio. A Salò una sua coetanea si piega alle voglie dei compagni nell'indifferenza di tutti.
Cosa sta succedendo a quelle che un tempo erano agenzie educative autorevoli e referenziate: le scuole? A Salò una preside ci spiega in una autodifesa che lascia di stucco che è possibile che il professore non avesse visto la violenza perchè i ragazzi avevano il permesso di non stare al proprio posto durante le interrogazioni dei compagni. Ma nessuno si è mai preso la briga di spiegare a questo docente (giovane, inesperto, supplente e malpagato) che forse quella non era la soluzione migliore per dare alla classe un minimo di regole condivise: persino nei parcheggi di periferia disegnano le righe per dare alle auto principi per la sosta semplici ma efficaci?
Cosa sta succedendo a noi genitori? Noi incapaci di capire, di cogliere i cambiamenti, le paure come le conquiste dei nostri figli. Incapaci di discutere di principi e di regole, di condividere obiettivi, di dialogare, di essere padri e madri forse un po' meno complici, ma un po' piu' educatori.
Cosa sta accadendo, in estrema sintesi, a questa società? Forse ha ragione Massimo Gramellini quando sulla vicenda della ragazza con la mazzetta dei cinque euro nascosta fra la biancheria ha osservato: "Un tempo la vita era un percorso e ogni fase consisteva in un passaggio che tendeva a uno scopo: il raggiungimento della consapevolezza di se stessi e di che cosa si voleva diventare. A un certo punto il meccanismo è saltato. La vita ha smesso di essere una scala da salire un gradino dopo l’altro ed è diventata un’arena piatta e senza confini. Ma se manca l’idea di un percorso da compiere, l’unico navigatore diventa l’utilitarismo. Voglio soldi e me li procuro nel modo più facile. Vendo sesso (o lo compro) senza pensare alle conseguenze, perché già la parola «conseguenze» presuppone una coscienza del tempo e dello spazio che non posseggo più. Purtroppo in un mondo che - a casa, in politica, in tv - non fa che togliere ringhiere da tutte le parti, è molto più facile cadere". Qualcuno è già caduto. E, forse, non si rialzerà più.

lunedì 29 marzo 2010

Regionali: due link per seguire lo spoglio

Se ti interessa lo spoglio elettorale per le regionali a Brescia e provincia CLICCA QUI . Pel la Lombardia, invece, CLICCA QUI e guarda le tabelle aggiornate in tempo reale.

venerdì 26 marzo 2010

Rai per una notte e l'informazione che verrà

Rai per una notte il giorno dopo. Sull'iniziativa del sindacato dei giornalisti italiani  (da tesserato della Federazione nazionale della Stampa posso dire che finalmente si è parlato di libertà di informazione e non delle solite beghe sindacali e questo è già un buon risultato per la categoria) ognuno si sarà fatto la sua opinione: a molti sarà piaciuto tantissimo lo show di Bologna, ad altri meno, e qualcuno, come dicevano certi partecipanti alla manifestazione del Pdl di sabato scorso, avrebbe addirittura vaporizzato volentieri il tutto in un bel falò.
Un dato è comunque innegabile: 180 piazze collegate, 40 tv e 30 radio che hanno diffuso l'evento (emittenti dalla linea politica più variegata, personalmente ho assistito a parte dello spettacolo da Telenova, l'emittente milanese delle Edizioni paoline, casa editrice di Famiglia Cristiana non certo un editore di ultrasinistra), centinaia di connessioni via Internet in streaming sono di per se spunto di riflessione. Sono il segno di un potere mediatico (inteso come duopolio pubblico-privato) che forse non ha più ragione di esistere, così come i mille paletti di contenimento della libertà di espressione. Una frase mi ha colpito dello show di Santoro, Travaglio, Vauro (nella foto) e compagni. L'ha detta Gad Lerner in un suo intervento evidenziando come ieri sera si stava inaugurando un nuovo modo di fare informazione, un nuovo canale partecipato, trasversale e fatto di mille rivoli, difficili da prosciugare e grande garanzia di libertà. Insomma è come se ieri sera fosse nata una nuova televisione un nuovo modo di interpretarla fuori dagli schemi classici della tv di Stato e della tv commerciale, una informazione crossmediale che attraversa l'opinione pubblica dalla radio al computer, dallo schermo televisivo al telefonino. Un uragano multicanale davanti al quale parole come censura e tribuna politica, tv commerciale e tv pubblica appaiono invecchiate di colpo. E per chi come noi si occupa in modo professionale di informazione e comunicazione è un nuovo fronte aperto in un mondo che cambia. Oltre quel fronte si intravede il futuro e noi dobbiamo essere capaci di interpretarlo.





giovedì 25 marzo 2010

Il nuovo numero di Zona 508

E' uscito il nuovo numero del giornale delle carceri bresciane, Zona 508. In questo numero abbiamo voluto affrontare il tema dell'amicizia, un tema difficile per chi è obbligato ad una convivenza forzata e, spesso, al sovraffollamento. L'amicizia per molti resta, però, un'ancora di salvezza alla quale mirare con speranza, alla quale guardare con nostalgia e rimpianto per troppi consigli buttati all'aria, per troppe mani tese lasciate inutilmente vuote. Ancora una volta grazie a tutti quanti hanno collaborato a questo nuovo numero del giornale: buona lettura.

Zona 508, il numero di febbraio 2010

lunedì 22 marzo 2010

Busi scrivano, Ventura consolatrice e il profumo della combine

“Scrivo questa lettera sul volo che mi riporta in Italia, sapendo che difficilmente mi sarà data la possibilità di esprimere il mio pensiero di persona. Sono stato bandito da tutti i programmi della Rai dopo l’ultima puntata dell’Isola, escluso dopo che mi ero autoescluso. Mi chiedo come si possa bandire qualcuno, la cui ultima presenza in Rai risale a dieci anni fa. Cos’avrei fatto e detto di così grave? Ho rispettato fino in fondo gli impegni contrattuali. Mi si attribuiscono offese al Papa, di cui non ho pronunciato il nome come risulta dalla trascrizione del mio parlato. Ho denunciato l’omofobia, dicendo che la scienza ha accertato che cela una latente omosessualità e una voglia vendicativa verso chi la vive liberamente. Se i giornali hanno scritto che…… ho ingiuriato indirettamente questo Papa, gli stessi lo hanno fatto direttamente. Nessuno deve arrogarsi il diritto di leggere nelle intenzioni, cosa non riconosciuta da nessun tribunale. Io sono abituato, per dialettica, ad aprire e chiudere da me i miei sillogismi. Non voglio rinnegare le mie convinzioni da anticlericale. Rispetto le posizioni diverse dalle mie e i sentimenti dei credenti di ogni fede, fermo restando, che in una democrazia ,si deve rispettare la libertà di non avere alcun culto, come esiste libertà di culto. Ho detto ciò che penso da tutta una vita. Ho detto che non esiste cittadinanza che non meriti di essere essere rispettata e che la persona umana non si può circoscrivere alla sua sessualità, fermo restando l’assoluto rispetto per i bambini e le persone non consenzienti. Ho partecipato all’Isola per il gusto di mischiare le carte. Sono fiero di avervi portato riflessioni che mai sarebbero entrate. So di non essere piaciuto a tutti, ma confesso che io mi sono piaciuto molto”.
Aldo Busi a Simona Ventura
Eccoci qui con l'ennesima puntata sulla cacciata di Aldo Busi dalla Rai, dopo la sua autoesclusione da "L'Isola dei famosi": ieri Simona Ventura ha letto a "Quelli che il calcio" una lettera dello scrittore di Montichiari in cui precisa la sua posizione e spiega di non aver mai insultato il Papa. Simona Ventura già promette un'intervista allo scrittore nello spazio tv del  suo sito web, mentre la Rai discuterà del caso nei prossimi giorni. Noi registriamo gli sviluppi della vicenda con un tarlo che non smette di roderci: non sarà mica tutta una combine?...

sabato 20 marzo 2010

In 150 mila contro la mafia

Nel giorno della manifestazione del Pdl in piazza S.Giovanni a Roma, mi piace ricordare invece i 150 mila che questa mattina erano in piazza Duomo a Milano per la  Giornata del ricordo delle vittime e dell'impegno contro la mafia.
Solo un link tratto dal sito di Libera per una veloce rassegna stampa sull'evento.

ECCO ALCUNI VIDEO SULLA MANIFESTAZIONE DA BLOGSFERE













venerdì 19 marzo 2010

Busi e l'isola dell'ipocrisia: ma in che parte di mondo stanno i naufraghi?

"L'ipocrisia è il preludio alla castrazione intellettuale"
Arrigo Cajumi (Il malpensante - da Pensieri di un libertino)
Ipocrisia. Ne parlano in tanti oggi sui giornali discorrendo dell'esclusione di Aldo Busi dai programmi Rai (lo so: i problemi dell'Italia sono altri. Ma il cazzeggio su questo tema svaga quel tanto che basta per non mettersi a piangere). E a me, trattandosi di Busi, viene in mente quel dialogo tra Lunetta Savino (madre acquisita di un ragazzo omossessuale morto dopo un malore)  ed Ennio Fatastichini, amico del figlio, nel film "Saturno contro" (2006):
- "Anche lei è gay?"
- "No, io sono frocio"
- "Ah, si figuri, pensavo fosse la stessa cosa"
- "Sì, ma io sono un uomo all'antica".
 Quanta ipocrisia, quanta falsa delicatezza, si nascondono spesso dietro le parole e i comportamenti e non è un caso che proprio Aldo Busi, barba sfatta e sguardo alla deriva, si sia definito con naturalezza una "vecchia checca", senza falsi paraventi e senza tanti, stucchevoli, giri di parole.
E l'anatema di Liofreddi e Masi sulle regole infrante, al di là del monologo fuori controllo dello scrittore di Montichiari, non sono altro che, come è accaduto per Morgan, l'ennesimo esercizio di ipocrisia. Perchè? Perchè l'epilogo era ampiamente prevedibile e perchè il personaggio Busi era stato invitato proprio per questo (con tanto di liberatoria - a detta dello stesso Busi - sulla clausola contrattuale di non parlare in termini offensivi di politica e religione). Una delle prime volte che ho incrociato personalmente Aldo Busi era fra i banchi dell'esame di stato per diventare giornalista professionisat (anno 1990) e anche quell'appuntamento negli sconfinati scantinati dell'hotel Ergife di Roma divenne per lui l'occasione per scagliarsi contro la casta dei giornalisti, contro il potere, contro l'ordine costituito. Lo fece (dopo la bocciatura del suo "tema" che probabilmente era un ottimo esercizio di letteratura, ma rispondeva meno ai canoni classici di un articolo di giornale) con la solita arguzia, con la solita veemenza impreziosita da una innegabile, intelligente, cultura. Non credo che Busi abbia mai ripetuto quell'esame, ma nemmeno che l'ordine dei giornalisti o la commissione esaminatrice abbia mai fatto editti bulgari o scelto vie giudiziarie per la credibilità minata.
Busi è Busi e si compra "all inclusive", tanto le "avvertenze", così come gli effetti indesiderati, sono noti da anni e scritti da tempo sull'etichetta. Ecco perchè Aldo Grasso oggi sul Corriere scrive un fondo dal titolo significativo: "L'ipocrisia di una scandalo annunciato".  E osserva: "Prima gli concedono la licenza d’uccidere e poi si strappano i capelli perché ha premuto il grilletto". Sì perchè Busi, forse con qualche eccesso e qualche isterismo, ha risposto egregiamente alle regole di ingaggio. "Siamo di fronte - spiega, sempre sul Corriere, il critico letterario Massimo Onofri - alla solita ipocrisia mielosa e stucchevole che caratterizza questo Paese. Non si può invitare uno come Busi e poi pensare di imbrigliarlo, di contenerlo".
La sua autoesclusione con "editto bulgaro" al seguito è forse anche il segno di un esperimento fallito: quello di mettere un pesce tropicale, colorato ed elegante, nel fosso dove nuotano apatici e grigi pesci d'acqua dolce, più amanti del fango che dei coralli. "Perché Busi ha deciso si andare via - si chiede infatti Aldo Grasso -? Il corpo estraneo è stato espulso. Gli anticorpi della tv generalista (da un concorrente, famoso nel suo condominio, che si esprime solo in romanesco a Mara Venier, da Rossano Rubicondi al figlio adottivo di Renato Zero) lo hanno cacciato. Busi aveva esaurito le energie di sopportazione perché è duro stare tre settimane con persone che parlano un’altra lingua fingendo di parlare la tua". E così la tv generalista ha rimpiazzato Aldo Busi con Ivana Trump, l'intelligenza con il silicone. Quindi - è l'invito di Aldo Grasso - "Busi poteva risparmiarsi un congedo così inopportuno, così inaccettabile. Ma ora Masi, Raidue, Magnolia, la Ventura evitino di impartirci lezioncine di morale".
E Busi? Che ne sarà di lui? Eviterei di scomodare il Wwf o Amnesty International. Siamo grandi a sufficienza per essere d'accordo con Gianluca Nicoletti che su "La Stampa" scrive (in un articolo intitolato "Busi in tv salta il tappo par condicio"): "Aldo Busi ha finalmente ottenuto l’anatema che tanto ha cercato. Ora nel martirologio degli eretici potrà giganteggiare come vittima sacrificale per eccellenza, offuscando le ultime agiografie degli esclusi, dei reietti, degli azzittiti, epurati, dimezzati, ridotti".
Resta lo spettacolo ipocrita di una caciara mediatica che lo stesso Nicoletti descrive così: il Busi-pensiero "ha provocato l'immediato e cocente sdegno corale da parte dei tanti politici di ogni segno che ieri hanno, grazie a Busi l'apostata, lenito la loro crisi d'astinenza da dichiarazione indignata. All'unisono hanno richiesto la pena suprema. Sia scomunicato il reprobo che ha rotto l'idillio della tv profumata dall'arbre magique della par condicio. La Rai ha così preso al volo l'occasione di punirne uno per educarne cento. Ora Busi è esiliato da tutte le televisioni dell'Impero e vagherà «Esecrato, maledetto ed espulso», ma a differenza di Spinoza, solo fino alla prossima catartica ospitata riparatrice".
E dopo tutto ciò viene da chiedersi: su quale parte di mondo stanno i naufraghi?

giovedì 18 marzo 2010

Aldo Busi: dall'Isola dei famosi a quella dei censurati

Non ci siamo ancora riavuti dal dramma (si fa per dire, ovviamente) della dipartita volontaria di Aldo Busi dall'isola dei famosi che ecco la notizia bomba: lo scrittore di Montichiari fuori da tutti i programmi Rai. Insomma, per i suoi attacchi al Papa e a Berlusconi, Busi è passato direttamente dall'isola dei Famosi a quella dei censurati. Un'isola affollata sin dai tempi in cui la tv si vedeva in bianco e nero. Così Busi raccoglie la solidarietà di Santoro e persino l'universo gay, critico per alcune sue sparate fuori misura, si ricompatta in sua difesa contro la censura. E in tutto questo starnazzare ricompare persino Morgan, in ospedale per un intervento alle corde vocali. Il "cantante maledetto" spiega come alla Rai, ormai, ci sia un clima di caccia alle streghe. E se lo dice lui...

Aldo Busi lascia l'isola: scrittori e intelligenze alla deriva

Avevamo fatto il tifo perchè fosse il nuovo Vladimir Luxuria sull'isola dei famosi, perchè fosse piccante il giusto per una minestra spesso insipida, perchè facesse quel divulgatore di intelletto, spesso provocatorio, spesso senza reticenze, in grado di dare un po' di sprint a tronisti e belle gnocche  (in carriera e fuori corso). Invece lui Aldo Busi ha lasciato. Ha gettato la spugna, andando al solito sopra le righe con una Mara Venier che ha persone le staffe in un nanosecondo, ha sbattuto auricolare e microfono in quella che è parsa una resa che non ti aspetteresti da un vecchio volpone come lo scrittore di Montichiari.
Eppure sono d'accordo con Massimiliano Parente che sul Giornale scrive un pezzo da titolo "L'rrilevanza dei letterati in Italia" in cui spiega che: "Ci voleva l’acqua torbida di alghe di un’isola e la cartina tornasole del sole del Nicaragua per rispecchiare l’andazzo generale, per mostrarci l’ultima spiaggia dell’intelligenza e l’arroganza dell’ignoranza. Bisognerà, alla fine, ringraziare Simona Ventura per l’esperimento, per aver imbastito il triste reality del più grande scrittore italiano vivente, Aldo Busi, sulla più piccola isola di italiani ignoranti viventi, ancorché famosi, per carità, dove l’ultimo tronista rimbecca lo scrittore: Ao asmetti da scrive’ libbri, asmetti da legge’".
E aggiunge amaro: "D’accordo, Aldo Busi sarà pure un rompicoglioni, e sarà pure ormai vedova di se stesso, e ci si sarà pure infilato lui lì, complice e autoilluso e forte dei suoi lustrini più che dei suoi capolavori, sicché è inutile che stia lì a sbraitare (cosa gli avevano detto, che c'erano Dante, Shakespeare, Gadda, Flaiano e Sterne?). Ma, si capisce, se anche ci fosse stato Leopardi lo avrebbero deriso per la gobba dandogli dello sfigato (come è successo nella trasmissione Il più grande italiano di Fachinetti, ex isolano anche lui), e paghiamo il canone per dare da mangiare a queste nullità. Giordano Bruno Guerri era stato ottimista, pensando che Busi avrebbe portato la cultura in televisione, mentre è avvenuto il contrario, la televisione ha portato l’ignoranza intorno allo scrittore. E non solo intorno allo scrittore. Ai famosiperniente non frega niente di niente e di nessuno, non dico dei romanzi dello scrittore, ma neppure di fare una domanda, dico una, alla vispissima settantasettenne Sandra Milo, tipo un «com’era lavorare con Fellini?». Come nella narrativa che scala le classifiche, dietro non c’è nulla, esiste solo il presente".
Peccato, Busi ci aveva fatto divertire anche se lascia dietro di se uno stillicidio di polemiche e di risse, dalla presunta apologia della pedofilia, all'incidente diplomatico con il Nicaragua, dagli attacchi di ieri in diretta al Papa e a Berlusconi alle staffilate a Renato Zero, ai litigi con Sandra Milo. Insomma sull'Isola c'era un incendio al giorno. Ma ora, forse, solo pioggia e noia.



mercoledì 17 marzo 2010

Carcere e riscatto: vi racconto una storia

"Certo non ho vissuto in paradiso: la mia vita l'ho vissuta tra le fiamme dell'inferno, dove agli angeli il minimo che gli possa capitare è bruciarsi le ali e vedersi preclusa la possibilità di volare tanto alto quanto la loro natura avrebbe consentito.... "

Il suo nome? No, non ve lo dico, anche perchè non so, quanti amici di questa sua nuova vita conoscano quella scritta dietro una pagina appena voltata. La sua storia, però, ve la racconto volentieri (sperando di non far troppi danni con questa biografia non autorizzata) anche perchè in queste ore lui discute la tesi di laurea in giurisprudenza, un ulteriore tassello lungo un cammino che si chiama riscatto. Sì perchè la prima volta che lo conobbi (alcuni anni fa) era arrivato a Brescia con un permesso speciale perchè era un detenuto del penitenziario di Fossombrone, braccio di Levante, quello di massima sicurezza, quello che ospita i carcerati di mafia. Lui è nato in Calabria, in uno di quei paesi, Palmi, dove alcune condizioni di vita sono come un marchio di fabbrica, un tatuaggio difficile da togliersi di dosso e per la giustizia quel tatuaggio si chiama "associazione mafiosa". Ma lui quel giorno era a Brescia per raccontarci la sua passione per la scrittura, la poesia, la prosa e il teatro. Era a Brescia per raccontarci il suo mondo a quadretti, come si chiama la rivista carceraria che lui con altri detenuti realizzava a Fossombrone. La sua passione per la scrittura gli ha portato negli anni anche premi letterari, riconoscimenti nazionali, soddisfazioni che aiutano a vivere. Soprattutto se, sono parole sue, pensi che: "i confini della tua vita sono le mura del carcere,che il sole non può sorgere per te perchè dentro i confini di quel mondo non poteva che essere sempre e solo notte". "I miei occhi però - racconta ricostruendo il suo arrivo in carcere e una notte trascorsa pensando al suo futuro - erano accecati dall'intensità della luce e per me quella era l'alba del mio nuovo giorno, un giorno che avrebbe smentito la mia convinzione iniziale".
Quel giorno ricco di sole ha riempito la sua vita di scommesse: un diploma conseguito dietro le sbarre e poi, dopo la scarcerazione, l'università e gli studi scelti proprio qui a Brescia, la città che lo aveva accolto nel suo salotto buono (il Vanvitelliano di palazzo Loggia) in un pomeriggio in cui si è riflettutto di pena detentiva e cultura, carcere e riscatto. Intanto, da uomo libero, non ha mai rinnegato gli anni difficili della detenzione, mettendo il suo impegno e la sua passione a disposizione dei volontari di Carcere e Territorio, con i quali collabora per Zona 508 (il periodico degli istituti di pena bresciani) e per il "Progetto scuola" un percorso formativo dedicato agli istituti superiori bresciani per far conoscere la realtà carceraria agli studenti. Persino la sua tesi parla di pena e misure di sicurezza perchè il passato può aiutare a capire meglio il presente. "Scrivendo - racconta quando ancora era detenuto in un saggio premiato anni fa in un concorso letterario - ho rovistato ogni giorno di tutti gli anni trascorsi in detenzione; ho raccolto tutte le macerie, le angosce e i tormenti; li ho abbandonati dentro una cella, ho chiuso la porta e gettato la chiave; per me però ho trattenuto la speranza, quella speranza da mettere nel bagaglio che mi accompagnerà all'uscita". Quella speranza, caro amico, oggi è diventata una certezza: la certezza che il paradiso (quello che dipingi nella citazione con il quale ho aperto questo post) può essere tale anche nelle piccole cose. Nelle scommesse giocate a cuore aperto e nelle sfide vinte.
Auguri, caro dottore....

martedì 16 marzo 2010

Trentadue anni fa la strage di via Fani e l'inizio del sequestro Moro

Ricordando:
Oreste Leonardi
DomenicoRicci
Raffaele Jozzino
Giulio Rivera
Francesco Zizzi
Gli uomini della scorta di Aldo Moro uccisi in via Fani dalle Brigate Rosse (16 marzo 1978)
Le date le scordi, del resto, quel giorno, eri solo un adolescente che frequentava la prima Liceo Scientifico e il tuo primo ricordo rimane quella ragazza sempre in prima fila alle assemblee di istituto che è entrata in classe dicendo: "Hanno rapito Moro e ucciso gli uomini della scorta: tutti fuori".
Stamattina, a colazione, ci ha pensato Giovanni Minoli e "La storia siamo noi" a ricordarci che il 16 marzo 1978, 32 anni fa proprio mentre stavo sorseggiando il caffè, qualcuno rapiva Aldo Moro (ucciso dopo 55 giorni di sequestro) e trucidava i cinque uomini della scorta. Carabinieri e poliziotti le cui storie sono rivissute questa mattina nelle voci, nei ricordi e nelle lacrime di chi è rimasto: mogli, fratelli, congiunti che hanno ricordato quella mattina di 32 anni fa, che hanno riaperto davanti alla telecamera, con compostezza e discrezione una ferita mai rimarginata. Hanno ricordato quei volti, quei momenti privati, quell'orgoglio di servitori dello Stato, quegli anni difficili piagati dal terrorismo, le solitudini seguite alla tragedia, le polemiche su quelle scarcerazioni forse un po' troppo premiali, come gli sconti di pena. Lo hanno fatto consapevoli, però, che ricordare è importante, che ogni sacrario, ogni memoriale, non solo è un tributo di gratitudine, ma è anche un mattone per costruire un mondo migliore.

ECCO IL DOSSIER DELL'ANSA IN OCCASIONE DEL TRENTENNALE DI VIA FANI

LA STORIA SIAMO NOI: IL DOSSIER SUL SEQUESTRO MORO

LA STORIA SIAMO NOI: GLI UOMINI DELLA SCORTA

LA CRONACA


LA RICOSTRUZIONE

lunedì 15 marzo 2010

Cristiani e Islam, prove di dialogo: l'esempio della Giordania

AMMAN (Giordania) - L'imam addetto alle tombe reali chiude l'invocazione passandosi le mani sulle labbra, quasi figurando un'ultima abluzione purificatrice. Poi, allarga le mani e fa un passo indietro, quasi a rendere più esplicito l'invito e don Erasmo, sacerdote dell'Arcidiocesi di Milano, attacca con l'Eterno riposo. Il luogo non è dei più usuali: quella preghiera di pietà cristiana eccheggia davanti alla tomba di re Hussein di Giordania, morto il 7 febbraio 1999, là dove poco prima l'aria era riempita dalle litanie pomeridiane delle moschee che popolano i colli di Amman, là dove, al nostro arrivo, sotto buona scorta e con i cani antiterrorismo mandati a pascolare nella stiva del bus per la bonifica di rito, una guardia reale aveva lasciato garritta e fucile mitragliatore per prostarsi in direzione della Mecca sul prato antistante il sacrario reale che ospita, oltre alla tomba di Hussein, quella degli avi di chi è considerato unanimamente il fautore della Giordania moderna, quella, per intenderci, con il cuore arabo e il cervello inglese.
Quella che oggi permette una prece cristiana nel più intimo fra i luoghi simbolo dell'orgoglio nazionale (nella foto), fra le tombe coperte dal drappo verde, il colore dell'Islam. Sta tutta qua la sintesi di un viaggio in questo lembo di Terra Santa, che guarda a Israele e alla Palestina, che conserva luoghi della memoria biblica (come il monte Nebo da dove Mosè vide la terrà promessa, o quel lembo di fiume Giordano dove tradizione vuole sia stato battezzato Gesù), ma che amalgama anche le grandi tensioni che per anni hanno scosso questo quadrante medio orientale: in Giordania vivono un milione e 800 mila profughi palestinesi (i territori dell'autorità nazionale rappresentano parte del confine occidentale), mentre un milione di iracheni (il confine è a Nord est, da qui transitavano gli approvvigionamenti militari nella seconda Guerra della Golfo) attendono miglior fortuna proprio in questa terra.
Una terra governata con il pugno di ferro, ma anche con la tolleranza verso le religioni di tutti. "Possiamo dire che in questo paese - conferma  padre Gregor Piotr Bielaszka, secondo segretario della Nunziatura di Amman - cristiani e musulmani possono vivere in pace. Questo è un paese tranquillo e aperto". Padre Gregor, sia pur con la reticenza innata dei diplomatici, volge lo sguardo verso nord est, giusto per dire che non è sempre così e che in Iraq si vivono giorni difficili. "Qui - spiega il sacerdote, tornato da Baghdad, poche settimane fa con il suo vissuto di tensioni anche nei rapporti quotidiani con la popolazione locale - la situazione è complessa, ci sono ancora cristiani che rischiano la vita per la loro fede". Il riferimento è a Mosul dove i cristiani di quella comunità sono da tempo sotto attacco e la persecuzione si trasforma spesso in rapimenti e uccisioni.
"Magari fosse esportabile il modello giordano" sorride padre Gregor pensando alla chiesa cattolica che sta sorgendo in riva al Giordano, a Betania di Trangiordania, dove Giovanni il Battista ha incontrato Gesù (nella foto a fianco) e dove accanto a quel tempio benedetto un anno fa dal Papa convivono le chiese di altre confessioni cristiane e la moschea. Un bell'esempio di convivenza anche alle nostre latitudini dove esistono posti come Azzano Decimo (Pordenone) dove si vogliono censire gli islamici.
"Di tutto avrei pensato in questo viaggio fuorchè di sentire l'eterno riposo sulla tomba di Re Hussein" dice con un filo di stupore Daniele Rocchi, veterano della Giordani, inviato della  Sir, l'agenzia di stampa della Conferenza episcopale italiana, che ha accolto con altri colleghi l'invito della Brevivet di Brescia per questo itinerario alla scoperta di un lembo di Terra Santa, uno scorcio significativo di Medio Oriente che ha saputo gestire la convivenza tra le religioni da nazione illuminata. "Un momento di dialogo e di preghiera che dimostra come la Giordania possa essere additata ad esempio e modello di convivenza e coabitazione da promuovere per tutto il Medio Oriente" scrive Rocchi nel suo reportage da Amman. Lo ha intitolato " Giordania - Le pietre vive, I cristiani in un Paese modello di convivenza per il Medio Oriente". Una speranza che, alla vigilia della Pasqua, fa largo al sole dopo il gelo e le nubi.

PER SAPERNE DI PIU' (link utili)

Conoscere la Giordania:
1) Wikipidia
2) Peace report
3) Il tributo a Re Hussein
4) Il dipartimento di statistica giordano

Viaggiare in Giordania
1) Brevivet
2) L'ente del turismo giordano
3) I consigli della Farnesina

Le religioni
1) Il patriarcato della Terra Santa
2) Abouna.org (sito in arabo per cristiano latini in medio oriente)
3) Notizie religiose sulla Giordania

LA FOTOGALLERY
Giordania, tra storia e religione



IN TV:
CLICCA QUI PER VEDERE IL REPORTAGE DALLA GIORDANIA MANDATO IN ONDA DA TELETUTTO QUESTA SERA (servizio di Erika Bariselli)

domenica 7 marzo 2010

Operazione Giordania

“Sali su questo monte Nebo, che è nel paese di Moab, di fronte a Gerico, e mira il paese di Canaan, che io do’ in possesso agli israeliti. Tu morirai sul monte sul quale stai per salire e sarai riunito ai tuoi antenati”.
Deuteronomio, capitolo 32 (49, 50).

Taccuino, macchina fotografica: si parte per la Giordania. Di questo paese e del suo padre, ovunque riconosciuto, Husayn di Giordania, si dice che "ha il cuore arabo ma il cervello inglese", un cervello in grado di trasformare una terra di sassi e di sabbia in un Paese ascoltato nelle stanze del potere, dando dignità internazionale al popolo nomade dei beduini, sopravvivendo a tutte le bufere che hanno scosso in questi decenni il Medio Oriente.
Cosa è la Giordania di oggi? "La terra non era e non offre tuttora granchè - si legge sulla guida del Touring club italiano -: niente petrolio, poca acqua e troppo sole". Ma, continua: "L'alba a Petra, il tramonto a Wadi Rum, quando si tingono di rosso le sabbie, le rupi e il Tesoro de Faraone, l'edificio simbolo della città perduta. sono gli attimi che valgono il viaggio in Giordania".
L'aereo è già sulla pista, il diario di viaggio è pronto, ma per il racconto ci risentiamo venerdì. Questo blog non è ancora così tecnologicamente avanzato da non recidere mai, anche in giro per il mondo, il suo cordone ombelicale con i surfer della rete che approdano, spesso casualmente, anche da queste parti. A risentirci.......





venerdì 5 marzo 2010

L'Italia senza valori in "Cerca dell'anima"

"E' un libro che nasce da un impeto. Da una passione per l'Italia, in un momento in cui sembriamo scarichi di sogni, di visioni. E da una passione per la Chiesa. Che corre anch'essa il rischio dell'inerzia, ma ha enormi potenzialità, direttamente proporzionali alla sua capacità di vivere e trasmettere una sua sensibilità evangelica".
Vincenzo Paglia, vescovo di Terni al Corriere della Sera
Sessantacinque anni, consigliere della Comunità di S.Egidio, l'Onu di Trastevere come lo chiamano a Roma per le grandi capacità di far dialogare i popoli andando oltre i governi, vescovo di Terni, monsignor Vincenzo Paglia presenta oggi sul Corriere della Sera il suo ultimo libro "In cerca dell'anima. Dialogo su un'Italia che ha smarrito se stessa" (Piemme, 19 euro).

Un libro che è la sintesi di un confronto con Franco Scaglia, (nella foto a destra) scrittore cattolico e presidente di Rai Cinema. Sollecitato da Aldo Cazzullo, monsignor Paglia distilla alcune valutazioni interessanti su questa Italia ormai in riserva.
"I comportamenti distorti, criminosi, sono la punta di un malessere più generalizzato e profondo - argomenta alla domanda se in Italia esista una crisi morale -. Il vero segno della crisi infatti è che gli scandali - che non mancano mai nella storia - oggi non riescono a provocare una reazione tale da cambiare nel profondo la società e i comportamenti della gente. Di qui la rassegnazione e il ripiegamento, una sorta di malattia che chiamiamo inerzia. Si dice spesso di abbassare i toni. Dobbiamo invece alzare le idee e le prospettive. Insomma ritrovare un'anima".
Da prete monsignor Paglia chiede alla Chiesa di essere più viva, più coinvolta, "più preoccupata del Paese a tutto campo, della qualità della vita di tutti". Quale qualità, quale vita di tutti in un Paese che sembra interessato solo all'orticello di pochi? "Assistiamo ad uno sfarinamento della coscienza comune - osserva il vescovo di Terni -, alla prevalenza degli interessi di campanile e di gruppo su quelli generali. In verità un soggettivismo esasperato sta divorando la coscienza collettiva. (...) Bisogna riprendere a pensare e a dibattere su quale Paese, quale società, vogliamo costruire".
Un impegno non da poco che le nostre "anime perse" faticano ad onorare.

giovedì 4 marzo 2010

Il delitto di Novi Ligure e la lezione dei genitori

"C'è qualcosa da portare in salvo nella tragedia di Novi Ligure? Forse sì: la compostezza dei genitori di Omar; l'equilibrio del padre di Erika"
Eraldo Affinati
(dal Corriere della Sera del 4 marzo 2010)
La notizia è di quelle che attizzano le cronache con il suo cascame di commenti altalenanti tra il forcaiolo e il buonista: Omar Favaro, oggi 27 anni, lascia il carcere dopo nove anni di detenzione con l'accusa di aver ucciso, in una villetta di Novi Ligure, con l'allora fidanzata Erika De Nardo, Susi Cassini, 42 anni, e Gianluca De Nardo, 12 anni, madre e fratello minore della ragazza. Omar, insomma, è uno dei protagonisti maledetti del "Delitto di Novi Ligure", un fatto di cronaca tanto noto da essersi guadagnato anche una voce su Wikipedia, l'enciclopedia libera della rete. Ma non è di Omar che voglio parlare, voglio segnalarvi la bella analisi fatta sul Corriere di oggi da Eraldo Affinati, insegnante, scrittore, uno abituato ad avere a che fare con il disagio minorile.
Affinati (nella foto) abbandona la facile analisi sulla drammatica vicenda e punta l'obiettivo sulla famiglia, sulla "lezione di dignità dei tre genitori" dei ragazzi assassini: il padre e la madre di Omar, il padre di Erika, dilaniato dal doppio ruolo di vittima della tagedia e di papà di colei che quella carneficina l'ha pianificata. "Queste persone - spiega Affinati - hanno mantenuto un riserbo abbastanza raro di cui tutti noi dovremmo prenderne atto. Non si sono fatte strumentalizzare. Sono state vicine ai figli. E' impossibile immaginare cosa succede, quale dubbio e quale peso opprima una volta per sempre chi si trova davanti alla colpa di un figlio, a una vita orrenda e travolgente".
Viene quasi il dubbio - osserva lo scrittore - che sia meglio essere dall'altra parte della barricata "piangere il pianto legittimo" di chi ha subito la tragedia che affrontare una tale prova. Non per nulla le carcere sono piene di figli senza più una famiglia, scialuppe alla deriva condannate a non avere un porto, una cosa dove, anche se non si uccide il vitello grasso come nella parabola del Padre misericordioso, c'è sempre una porta aperta, una parola di conforto.
"Questi genitori - spiega Affinati - hanno cercato, per quanto possibile, di mantenere la posizione, prima di tutto accettando di caricarsi l'enorme, scomodo peso della propria responsabilità in quanto padre e madre di figli che sarebbe più facile abbandonare che tenere vicini". Quanti ne sarebbero capaci? Ho incrociato Erika tra le mura del carcere di Verziano a Brescia, ho visto in faccia, alla vigilia del loro arresto, i ragazzini (tutti tra i 14 e i 16 anni) accusati anni fa di aver massacrato a coltellate, in una cascina di Leno, la coetanea Desirèe Piovanelli. Ho visto in quei volti e in quell'incedere dinoccolato il viso e la postura di mio figlio quasi adolescente e da quel giorno mi chiedo: che fare, come prevenire e se capitasse a me? Quanto è difficile essere modelli ed educatori.
"Educare i figli non è mai stato difficile come oggi - concorda Affinati -: da una parte trionfa la deflagrazione del desiderio che spinge molti giovani a trasformarsi in maschere di se stessi; dall'altra si afferma il vuoto piombato, senza più gerarchie di valori nè vere prospettive ideali. Lo spazio di manovra dell'azione pedagogica sembra ridotto al lumicino: dove trovare la forza e la convinzione necessarie per riuscire a proporsi quali adulti credibili in un mondo in cui la moralità pubblica è sotto la suola delle scarpe e i modelli prevalenti sono talmente degradati da non suscitare più neppure l'indignazione che i nostri padri riservavano a situazioni assai meno gravi di quelle che oggi abbiamo sotto gli occhi? (...) Ci vuole coraggio per non cedere alle pretese dei figli, ma soprattutto, e lo diciamo con ammirato rispetto, ci vuole coraggio per non abbandonarli al loro destino".
L'ultima immagine che mi è stata descritta del padre di Erika è di un uomo che si aggira per il corridoio del polo universitario del carcere di Verziano con un mazzo di fiori, il piccolo omaggio d'ordinanza per una laurea che Erika ha conseguito in carcere, per una piccola conquista che, dopo gli anni della follia e della "deflagrazione del desiderio", segna l'inizio della rinascita, di un riscatto importante, di un progetto rieducativo che sta dando frutti grazie anche a quel padre con fiori al seguito, tanto emozionato quanto presente sin dagli anni del carcere minorile.
"La presenza superstite del padre di Erika e la discrezione dei genitori di Omar - conclude, non a caso, Affinati - possono essere utili a capire che il tema del giudizio, come ci hanno spiegato gli antichi, non si esaurisce di certo nella dimensione giuridica, pure storicamente ineludibile: chi sbaglia non lo fa da solo, ma sempre insieme ad altri, alterando un meccanismo che può riguardare anche più generazioni. Ecco perchè il silenzio animato di questi genitori così duramente provati e consapevoli rappresenta una lezione memorabile per i nostri tempi di suoni e lustrini".

mercoledì 3 marzo 2010

I prezzi come vanno? Salgono

I prezzi a Brescia come vanno? Salgono alla faccia della crisi. Crescono dell'1,1% rispetto ad un anno fa e dello 0,1% rispetto al mese scorso. Aumenti impercettibili si dirà, ma ciò significa che continueranno a crescere anche per i mesi a venire. Salissero così anche gli stipendi degli italiani, finalmente fuori dalla crisi, non ci sarebbero grossi problemi, ma le pagine dell'economia locale sono ancora piene di richieste di cassa integrazione, accordi su contratti di solidarietà e disoccupazione in crescita. Insomma, i primi ad uscire dalla crisi sono i prezzi, con buona pace della contrazione dei consumi. Il tutto con una sorpresa: cresce il settore delle comunicazioni che, vuol dire, soprattutto, telefonia mobile: non succedeva da anni.

Ecco il consueto rapporto dell'ufficio statistica del Comune di Brescia con l'andamento dei prezzi a Brescia nel febbraio 2010

Eventi_Indicatori_2010_02

martedì 2 marzo 2010

Carcere e la voglia di raccontarsi: un esperimento

"Questa non era una prigione. Era una scuola del crimine, entrai con una laurea in marijuana, ne uscii con un dottorato in cocaina".
Lo spacciatore Johnny Depp in Blow (2001)

Non è facile ridere, confrontarsi, raccontarsi di questi tempi in un carcere. I resoconti di questo inizio d'anno parlano di sovraffollamento, drammi della disperazione, suicidi ad un ritmo quasi quotidiano. Ma cosa succede dentro ad un carcere, quali storie, quali racconti si intrecciano tra le celle cariche di una umanità dolente di vite difficili, di storie naufraghe che, paradossalmente, al blindo di una cella (la porta in ferri battuto con lo spioncino) hanno ancorato un'esistenza altrimenti alla deriva?
Raccontarsi in carcere è l'esperiemento lanciato nel penitenziario di Verziano da Beppe Pasini, 48 anni, psicolo, psicoterapeuta della famiglia in un consultorio, docente di Pedagogia sperimentale all'Università di Brescia e di Pedagogia della famiglia alla Bicocca di Milano. Il dottor Pasini ha animato un laboratorio di scrittura autobiografica tra i detenuti e ha trovato carcerati poeti, "ristretti" che attraverso le parole, magari in un italiano incerto, hanno cercato e ritrovato i cocci della loro vita, una vita avventurosa e agra, una vita matrigna che si tenta di recuperare in questo luogo di espiazione e di ozio, che per molti, è uno dei pochi luoghi dove la vita ti fa fare i conti con te stesso, con la capacità che hai avuto di poter sfruttare i talenti che ella ti ha dato. Può sembrare strano, ma dentro il carcere scrivere può aiutare a crescere. Se n'è accorto anche Beppe Pasini, così come ogni settimana lo sperimenta chi collabora alla realizzazione di "Zona 508", il periodico degli istituti di pena bresciani. Perchè il carcere, parafrasando Jonny Deep, può essere una scuola positiva di vita e non solo un'università del crimine.

Ecco la sintesi dell'esperienza: "Sguardi sopra le mura. Scrivere di sè in carcere" di Beppe Pasini (consultabile anche sul sito dell'Associazione Carcere e Territorio)

Sguardi sopra le mura. Scrivere di sè in carcere

lunedì 1 marzo 2010

Terremoto in Cile, pensando agli Inti Illimani e ad un popolo unito e invincibile

Sui giornali, fra le notizie del terremoto in Cile, qualcuno ha dato voce agli Inti Illimani il gruppo musicale che, ai tempi del golpe di Pinochet aveva trovato rifugio in Italia. "Stiamo bene" hanno fatto sapere dal Cile martoriato, e già l'Italia si sta mobilitando.
Agli Inti Illimani (che, detto per inciso, sono cittadini onorari di Villachiara, provincia di Brescia) non resta quindi che fare del loro brano più famoso "El pueblo unido jamás será vencido (Il popolo unito non sarà mai vinto)" l'inno alla rinascita.

Se il carcere scoppia i detenuti restano in caserma. Il caso Brescia

Gli arrestati? Se è facile prevedere che si tratterà di una detenzione non superiore alle 24 ore, teneteveli in cella di sicurezza. A scriverlo - ne da notizia oggi il quotidiano Bresciaoggi - è il procuratore capo di Brescia Nicola Maria Pace e quella che sembra una presa di posizione estrema ha un senso: le carceri di Canton Mombello e di Verziano scoppiano e "conferire" (scusate il termine poco unano, ma mi sembra sia quasi onomatopeico di uno spirito) alle case di reclusione detenuti che, si sa, potrebbero essere scarcerati con l'udienza di convalida o la direttissima, finisce per aggravare inutilmente il sovraffollamento.
Quindi meglio attendere processo o convalida nella cella di sicurezza della caserma che ha eseguito il fermo.
Un invito, quello del procuratore di Brescia (nella foto), che farà discutere (per le forze dell'ordine sono problemi organizzativi non indifferenti, non tutti i comandi di polizia locale, ad esempio, dispongono di celle di sicurezza, dove serve la sorveglianza 24 ore su 24) ma punta il dito verso una situazione che si è fatta insostenibile e che in questi giorni ha conosciuto anche il dramma di un suicidio.
Ecco quindi il ricorso al paliativo: nessun trasferimento in carcere per detenzioni brevi, cioè per quei reati come violazione della legge sull'immigrazione, furto, resistenza a pubblico ufficiale, piccolo spaccio di droga che, all'atto della convalida del fermo  o del processo per direttissima, spesso si traducono in una scarcerazione motivata dall'applicazione della sospensione condizionale della pena (in caso di condanna) o dall'intenzione del giudice di non applicare la custodia cautelare in attesa del processo (magari perchè l'imputato è incensurato o non vi siano altri motivi per trattenerlo in cella).
Comunque la si guardi, questa presa di posizione, dà il senso di una sconfitta. La sconfitta di uno Stato che fa le leggi (ad esempio quella sull'immigrazione), ma che, giuste o sbagliate che siano, non è in grado di applicare e far rispettare; che commina pene che nessuno sconterà; che si vede costretto, perchè non è in grado di gestire una situazione ormai esplosiva (i suicidi in cella ormai sono quasi uno al giorno), a trovare scorciatoie per evitare che la gente finisca in una casa circondariale. Con buona pace della voglia di sicurezza, della certezza della pena e di tanti altri principi sacrosanti di uno Stato di diritto degno di questo nome.