martedì 24 agosto 2010
Tempi moderni: la maxi fabbrica e la grande utopia
Le coincidenze talvolta giocano brutti scherzi. Nei giorni scorsi Massimo Sideri sul Corriere ci raccontava che per realizzare le nuove meraviglie tecnologiche della Apple la Foxconn, azienda specializzata nell'assemblaggio di iPad, iPhone, iPod, computer Dell e Hp con sede a Shenzhen in Cina avrebbe assunto 400 mila persone in una fabbrica nota al mondo per il numero di suicidi e per i ritmi vertiginosi di lavoro.
Leggevi l'articolo e ti colpivano alcuni elementi: la Apple per ogni iPad prodotto elargiva un compenso di 3,98 dollari, passati a 7,96 di recente dietro l'assicurazione che quei soldi fossero utilizzati per rendere gli stpendi più equi; ogni tablet usciva dalla fabbrica cinese a 260 dollari, buona parte dei quali utilizzati per l'acquisto dei materiali; ogni operaio nella fabbrica percepiva un salario di 140 dollari al mese (recentemente raddoppiati dopo l'aumento dei contributi da parte della Apple).
Dopo la lettura di quell'articolo ho guardato il mio iPhone e mi sono sentito un po' ingranaggio di questo meccanismo perverso, di questo nuovo schiavismo (non saprei come altro modo chiamarlo). Mi sentivo un po' una merdina e pensavo alla mia lettera aperta mandata a Marchionne da questo blog sui temi dell'esportazione dei diritti nel mondo del lavoro, sul tema della globalizzazione delle conquiste (da Pomiglianno alla Serbia, da Mirafiori alla Polonia). Una provocazione smentita dai fatti in questo mondo nel quale ti chiedi se tornerà mai un capitalismo minimamente illuminato.
Eppure, qui sta la coincidenza di cui scrivevo all'inizio, qualche esempio in Italia c'è stato. Proprio nei giorni scorsi, quasi in concomitanza con l'uscita dell'articolo di Sideri, il Tg2 ha proposto in uno speciale la storia di Adriano Olivetti (nella foto) fondatore a Ivrea dell'omonima fabbrica di macchine per scrivere, esempio illuminato di chi sapeva coniugare, profitto, innovazione, lavoro, al benessere e alla qualità della vita dei propri operai. Così, raccontano le cronache, alla Olivetti nacquero i primi asili nido, i quartieri operai, la settimana corta. Rivoluzioni e utopie su un mondo migliore possibile che riuscirono a portare l'Olivetti in alto (il declino è arrivato dopo, quando Adriano Olivetti lasciò e l'imprenditoria famigliare fece posto a quella più sfacciatamente finanziaria). Gli altari di una azienda dove si faceva innovazione, dove si contribuiva a portare il made in Italy nel mondo. E lo si faceva in un modo impensabile nel mondo d'oggi: mettendo spesso l'uomo al centro del processo produttivo.
E' pretendere troppo oggi nella Cina della maxi fabbrica della Foxconn come nella fabbrichetta della Pmi? E' pretendere troppo sperare di rintracciare un po' di quell'animo imprenditoriale di Adriano Olivetti in un fondo di investimento o in un board imprenditoriale tutto chiacchiere e finanza?
Che spazio c'è di questi tempi in una fabbrica per la grande utopia?
Domande che cercano risposte negli anni della crisi.
Leggevi l'articolo e ti colpivano alcuni elementi: la Apple per ogni iPad prodotto elargiva un compenso di 3,98 dollari, passati a 7,96 di recente dietro l'assicurazione che quei soldi fossero utilizzati per rendere gli stpendi più equi; ogni tablet usciva dalla fabbrica cinese a 260 dollari, buona parte dei quali utilizzati per l'acquisto dei materiali; ogni operaio nella fabbrica percepiva un salario di 140 dollari al mese (recentemente raddoppiati dopo l'aumento dei contributi da parte della Apple).
Dopo la lettura di quell'articolo ho guardato il mio iPhone e mi sono sentito un po' ingranaggio di questo meccanismo perverso, di questo nuovo schiavismo (non saprei come altro modo chiamarlo). Mi sentivo un po' una merdina e pensavo alla mia lettera aperta mandata a Marchionne da questo blog sui temi dell'esportazione dei diritti nel mondo del lavoro, sul tema della globalizzazione delle conquiste (da Pomiglianno alla Serbia, da Mirafiori alla Polonia). Una provocazione smentita dai fatti in questo mondo nel quale ti chiedi se tornerà mai un capitalismo minimamente illuminato.
Eppure, qui sta la coincidenza di cui scrivevo all'inizio, qualche esempio in Italia c'è stato. Proprio nei giorni scorsi, quasi in concomitanza con l'uscita dell'articolo di Sideri, il Tg2 ha proposto in uno speciale la storia di Adriano Olivetti (nella foto) fondatore a Ivrea dell'omonima fabbrica di macchine per scrivere, esempio illuminato di chi sapeva coniugare, profitto, innovazione, lavoro, al benessere e alla qualità della vita dei propri operai. Così, raccontano le cronache, alla Olivetti nacquero i primi asili nido, i quartieri operai, la settimana corta. Rivoluzioni e utopie su un mondo migliore possibile che riuscirono a portare l'Olivetti in alto (il declino è arrivato dopo, quando Adriano Olivetti lasciò e l'imprenditoria famigliare fece posto a quella più sfacciatamente finanziaria). Gli altari di una azienda dove si faceva innovazione, dove si contribuiva a portare il made in Italy nel mondo. E lo si faceva in un modo impensabile nel mondo d'oggi: mettendo spesso l'uomo al centro del processo produttivo.
E' pretendere troppo oggi nella Cina della maxi fabbrica della Foxconn come nella fabbrichetta della Pmi? E' pretendere troppo sperare di rintracciare un po' di quell'animo imprenditoriale di Adriano Olivetti in un fondo di investimento o in un board imprenditoriale tutto chiacchiere e finanza?
Che spazio c'è di questi tempi in una fabbrica per la grande utopia?
Domande che cercano risposte negli anni della crisi.
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