giovedì 26 novembre 2009
Aprire gli armadi: dire basta all'Italia dei misteri
Fra qualche giorno, la vigilia di Santa Lucia, saranno trascorsi 40 anni dalla Strage di Piazza Fontana, la bomba collocata a Milano all'interno della Banca nazionale dell'Agricoltura. Erano le 16.30 del 12 dicembre 1969 e lo scoppiò provocò 17 morti e 88 feriti. Quella bomba segno l'inizio di una stagione di Stragi, di una guerra non convenzionale che scosse l'Italia con quella che gli storici (ormai ci affidiamo alla storia, perchè la giustizia, su questo punto è riuscita a dare ben poche soddisfazioni) chiamano "Strategia della tensione" chiusa solo nel 1984 con la bomba della vigilia di Natale sul Rapido 904 a Benedetto Val di Sambro.
L'anniversario sarà anche l'occasione per lanciare una iniziativa che vuole aprire gli armadi del Segreto di stato, affinchè, finalmente si possa giudicare la storia e quei fatti in maniera trasparente.
"Si avvicina il 40° anniversario della strage di piazza Fontana - scrivono i promotori dell'iniziativa -. Pensando a questa ricorrenza così dolorosamente significativa lanciamo l'appello "Aprire gli armadi non basta. Manifesto per l’accessibilità e la trasparenza degli archivi nell’interesse dei cittadini", sul tema del segreto di stato e della trasparenza archivistica".
I primi firmatari dell'iniziativa sono: L'Associazione “Piazza Fontana 12 Dicembre 69, il Centro Studi e iniziativa sulle stragi politiche degli anni '70, Licia, Claudia e Silvia Pinelli,l'Associazione familiari dei caduti di piazza della Loggia e “Casa della memoria” di Brescia, la fondazione Roberto Franceschi di Milano.
"Le adesioni - continuano i promotori - verranno raccolte dalla Case della Memoria di Brescia, potete comunicarle all'indirizzo email casamemoria@libero.it, casadellamemoria@28maggio74.brescia.it. L'appello sarà visibile sul sito
http://www.28maggio74.brescia.it/. In occasione delle commemorazioni sarà presentato alle autorità, con la richiesta che vengano intraprese delle azioni di breve, medio e
lungo periodo nelle aree d'intervento segnalate".
APRIAMO GLI ARMADI
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domenica 22 novembre 2009
Le storie della crisi: l'acciaieria, gli americani e il sequestro
La crisi economica ci ha abituato a tanti controsensi e a digerirli come fossero l'evolversi naturale degli eventi. Qualcuno non ci sta, non ne capisce il senso e allora lotta. Segnalo la vicenda dell'Alcoa, acciaieria sarda di Portovesme nel Sulcis sulla quale sventola la bandiera americana che giusto nell'ultimo bilancio faceva utili e che ora la proprietà vuole chiudere, come hanno chiuso le tante fabbriche che costellano la zona di ciminiere. Crisi? Congiuntura? Chiamatela come volete ma in questo angolo della Sardegna la chiamano solo ingiustizia.
Consiglio in proposito la lettura del reportage apparso su La Stampa di oggi.
Gli operai dell'Alcoa: "Lasceremo
al buio l'intera Sardegna"
Nell'azienda del Sulcis: «Pronti
a tutto per bloccare la chiusura»
NICCOLO' ZANCAN
INVIATO A PORTOVESME (CAGLIARI)
E’ tutto in disgrazia, fra i canneti e i fichi d’india del Sulcis. Ruggine, abbandono, rampicanti sugli stabilimenti, esistenze avvelenate. «Questo territorio è una via crucis di ciminiere spente», dice il sindaco di Iglesias, Pierluigi Carta. Eurallumina, Otefal Sail, Ila, Rockwool. Sono storie chiuse in fretta, già diventate carcasse industriali. Ma l’Alcoa, no. La grande acciaieria degli americani, al centro esatto del Mediterraneo, funziona a ciclo continuo dal 1971. Non ha mai tradito, neanche per un giorno.
E anche oggi il fumo si alza verso il cielo di un azzurro nitido, davanti al porto industriale. Bilancio del 2008: 80 milioni di euro di utili. Mille operai al lavoro, altrettanti impegnati nell’indotto. «Abbiamo sempre reso», dice l’operaio Alessandro Cara, con una macchina fotografica al collo per fotografare i suoi compagni. «Non facciamo mica alluminio da lattine. Da qui escono pezzi pregiati per le scocche delle Ferrari e degli aerei. Non ha senso quello che sta succedendo». Ecco perché la notizia della chiusura degli impianti, arrivata via mail alle 8 di venerdì mattina, direttamente dalla casa madre di Pittsburgh, ha gettato questa zona della Sardegna nel panico. Un panico rabbioso.
Da due giorni l’alluminio non esce più dallo stabilimento. Bloccati tutti i camion. A mezzogiorno di venerdì, un operaio si è calato un passamontagna nero in faccia, prima di mettersi davanti a una piccola telecamera: «Abbiamo sequestrato i dirigenti. Le intenzioni di chiudere non possono essere messe in atto. Da qui non se ne va nessuno. Vogliamo risposte chiare». Un sequestro poi rientrato, perché l’Alcoa ha concesso 15 giorni di proroga. Ma gli operai non si fidano. Alcuni di loro hanno passato la notte in cima a un silos di petrolio, a sessanta metri di altezza.
E’ proprio il colpo d’occhio sulla via crucis di ciminiere, sugli alloggi chiusi e le case mai finite, a togliere le speranze. «Stanno sbaraccando tutti - dice l’operaio Gianmarco Zucca - eravamo un sistema, siamo rimasti soli». Si sentivano al sicuro, con gli americani. «Per la Sardegna eravamo come la Fiat», dice un collega. Ora sono arrabbiati anche di averci creduto.
«La guerra è solo all’inizio», urlano dentro al prefabbricato delle riunioni sindacali. Confezioni di bottigliette d’acqua sul tetto di un’auto scassata. Fuori c’è il sole, dentro fa caldissimo. E’ un sabato mattina di paura e poliziotti ai cancelli, a controllare a distanza. Più di duecento lavoratori applaudono il delegato della Cisl, Massimo Cara, mentre dice: «Nessuno si azzardi a parlare di cassintegrazione. Faremo tutto quello ci viene in mente per contrastare la chiusura. E non nei limiti consentiti della legge. Siamo pronti a bloccare anche la centrale elettrica qui davanti. Lasceremo la Sardegna al buio».
Proprio la fornitura di energia è lo snodo di questa storia. Per anni Alcoa ha ottenuto l’elettricità necessaria agli impianti italiani - l’altro è a Fusine (Venezia) - a prezzi agevolati. Adesso la Commissione Europea ha presentato il conto. Si parla di una sanzione da 270 milioni di euro. Il colosso dell’alluminio non intende pagare. «Questo è un giorno nero per l’industria pesante europea - scrive Klaus Kleinfeld, presidente di Alcoa -: in particolare, in un momento di così grave crisi economica, è una decisione difficile da capire». La chiusura è la conseguenza.
Gli operai sono divisi. Per qualcuno la fornitura dell’energia sottocosto è il vero motivo. Per altri, invece, è solo un pretesto: «Produrre qui non conviene più. Da quando ha chiuso l’Eurallumina le materie prime dobbiamo farle arrivare in nave dalla Guinea. La verità è che vogliono salutare la Sardegna».
Intorno alla fabbrica rimane poco. Qui intorno hanno già chiuso le miniere di carbone, poi quelle di piombo e zinco. Una terra bellissima, avvelenata negli animi e nel profondo. Anche per questo, finora, mai convertita al turismo. «La chiusura dell’Alcoa sarebbe un problema sociale», dice il parroco di Iglesias, Giovanni Paolo Zedda.
Su 130 mila residenti nella zona, 30 mila sono pensionati, altri 30 mila disoccupati. «Andiamo tutti a Roma il 26 novembre - urlano al microfono - riempiamo una nave, portiamoci mogli e figli, così non potranno picchiarci». Il sindaco di Carbonia, Salvatore Cherchi: «Non resteremo qui ad amministrare la miseria. Questo territorio non può reggere un’altra chiusura. Se non avremo risposte, restituirò la fascia tricolore».
Soltanto il mare è calmo, all’orizzonte. Da Portovesme partono piccole barche di pescatori verso l’isola di Carloforte. Cagliari è a settanta chilometri, Roma l’ultima spiaggia. Gli americani lontanissimi, dall’altra parte del mondo.
da La stampa.it
giovedì 19 novembre 2009
E se quest'anno la Natività fosse nera?
La bella pensata degli amministratori di Coccaglio di chiamare "White Christmas", Bianco Natale, un'operazione di revisione delle residenze agli stranieri in scadenza proprio il giorno di Natale, non è piaciuta neanche a Bossi e questo rende l'infurtunio (chiamiamolo così per non scomodare scenari più inquietanti) della giunta del centro della Franciacorta ancora più sconcertante.
Spulciando fra le prese di posizioni registrate in queste ore mi è capitata tra le mani quella del mio amico Franco Capretti, segretario della sezione bresciana della Conferenza Mondiale religioni per la Pace. A nome dell'organizzazione ha inviato alla comunità cristiana di Coccaglio una lettera aperta con una serie di proposte per riappropriarsi dei valori autentici del Natale, macchiati da quel "White Christmas" che puzza di blasfemo.
Fra queste proposte anche quella di realizzare "presepi neri o di colore", nelle case, in chiesa e all'oratorio del paese. E se questa proposta di una Natività nera diventasse l'impegno che ognuno di noi renderà concreto nella propria casa? Sarebbe bello. E magari avremmo qualcosa di cui parlare con orgoglio ai nostri figli.
Ecco la lettera aperta
Alla Comunità Cristiana di Coccaglio
Noi, membri della Conferenza Mondiale Religioni per la Pace (WCRP) di Brescia, soprattutto nella sua componente cristiana, abbiamo appreso con ‘dolore’ quanto sta avvenendo nella vostra comunità.
Il nostro ‘dolore’ è per chi sta subendo questa ‘legislazione’ accompagnata da un’idea di ‘pulizia’.
Tutto ciò è preoccupante in quanto questa operazione di ‘pulizia’ si regge sulla simbologia (e usiamo questo termine nel suo senso più stretto: ciò che unisce) del Natale.
Pensiamo che questa vicenda sia da affrontare senza paure e contorsioni ecclesiastiche, poiché questa associazione (pulizia=Natale) rischia di richiamare periodi della storia in cui i simboli cristiani sono stati utilizzati per dividire e massacrare. Non vale nulla, meno di niente, far memoria della Shoah se non siamo spinti a far sì che, oggi, certe espressioni e comportamenti non sono e non possono essere avvallati e sostenuti anche col nostro silenzio. Propio nel e per il silenzio sono morti milioni di uomini.
Come cristiani praticanti siamo smarriti e soprattutto stanchi che il messaggio evangelico sia costantemente sovvertito/difeso da persone che hanno scelto esattamente una ideologia per eccellenza anti-evangelica e pagana. Questo dovremmo sempre ricordarlo.
Chiediamo, quindi, alla vostra comunità di fare delle piccole dimostrazioni, che non comportano grandi ‘rischi’, ma fanno parte del nostro essere coerentemente discepoli di Colui che è nato, morto e risorto per ogni uomo che cammina sulla terra. Anche per coloro che pensano il contrario.
Ci permettiamo di suggerirvi alcune idee:
-Il Parroco e il Consiglio Pastorale sollecitino mons. Monari a una riflessione / dichiarazione in merito (per Coccaglio e comuni affini...). Ci sembra la più urgente! Oppure chiedano al Vescovo di venire a celebrare la messa di Natale proprio a Coccaglio, dimostrando così di essere il pastore di tutti. Sarebbe l’azione più forte.
-Il Parroco, il Consiglio Pastorale, il Gruppo missionario e la Caritas di Coccaglio dicano il proprio "Annuncio natalizio" in merito; non lasciatevi scippare il Natale. La stessa cosa se possibile si faccia a livello di Zona pastorale.
-A Coccaglio (in parrocchia, oratorio, nelle case eccetera) si facciano solo "presepi neri o di colore": niente personaggi "bianchi"; oppure bianchi e colorati assieme, tutti verso Gesù salvatore.
-A Coccaglio e altri comuni affini, davanti alla Chiesa, un caloroso show di canti natalizi Gospel.
Questo è quello che pensiamo, sorretti anche dai nostri membri appartenenti ad altre religioni (e normalmente stranieri).
Ricevete questa lettera come atto di vicinanza e di amicizia. Null’altro che questo.
Prof. Francesco Capretti
Segretario Conferenza Mondiale Religioni per la Pace
sezione Brescia
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mercoledì 18 novembre 2009
Coccaglio: il paese delle belle pensate e le bacchettate di padre Toffari
A Coccaglio hanno pensato bene di chiamare un'operazione di controllo del territorio di quelle volute dal pacchetto sicurezza del Ministro Maroni, "White Christmas". Perchè? Perchè entro Natale i vigili urbani del paese devono passare al setaccio le case degli immigrati e chiedere loro se sono in regola con il permesso di soggiorno: in caso contrario scatta la revoca della residenza se non vi si provvede entro sei mesi. A Coccaglio sarà anche un bianco Natale, ma non per i neri e gli extracomunitari hanno concluso in molti ieri leggendo la bella pensata finita in prima pagina su Repubblica. Una bufera di accuse di razzismo rincarate da un'affermazione dell'assessore alla sicurezza che ammette candidamente al quotidiano diretto da Ezio Mauro "volevamo far un po' di pulizia" spiegando anche che per lui il Natale "non è la festa dell'accoglienza, ma della tradizione cristiana, della nostra identità".
Travolti dalle critiche a Coccaglio oggi sono corsi ai ripari. Il sindaco leghista Franco Claretti taglia corto: «White Christmas è una denominazione assolutamente casuale, a cui la polizia locale è pervenuta in modo informale e scherzoso per coincidenze cronologiche». E sull'operazione ("di anagrafe, non di polizia" precisa l'assessore alla sicurezza) il sindaco osserva: «sono controlli finalizzati a calibrare nel migliore dei modi la gestione delle risorse per le politiche dell’integrazione e del welfare. Non è certo un caso se nessuna associazione d’immigrati o realtà religiosa si è lamentata». Se il parroco del paese non ci vede tutto questo razzismo, di diversa opinione la presa di posizione di padre Mario Toffari, responsabile diocesano del segretariato migranti, che ha contestato duramente gli amministratori di Coccaglio.
Ecco l'editoriale di padre Mario Toffari sul prossimo numero del Settimanale Diocesano la Voce del Popolo.
Bianco e Santo Natale
di padre Mario Toffari,
direttore Ufficio della pastorale dei migranti
Diocesi di Brescia
“Anche Giuseppe, dalla Galilea, dalla città di Nazaret, salì in Giudea alla città di Davide chiamata Betlemme: egli apparteneva infatti alla casa e alla famiglia di Davide. Doveva farsi censire insieme a Maria, sua sposa, che era incinta. Mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio”(Lc 2,4-7). Il Natale che conosco è uno solo, quello descritto nel Vangelo di Luca: Gesù nasce a Betlemme, in una grotta, perché per lui non c’è posto nell’albergo. È la mia risposta ai fatti e alle dichiarazioni che si sono verificati a Coccaglio in questi giorni, paese dove, a detta degli interessati, “non c’è criminalità”, ma in cui l’Amministrazione vuole “iniziare a far pulizia”. Ma andiamo con ordine. A Coccaglio è partita un’azione del Comune, denominata “White Christmas”, cioè “Bianco Natale”, per controllare a tappeto tutti i clandestini che vivono nel territorio e per espellerli o per togliere loro la residenza nel caso che si tratti di immigrati che non hanno rinnovato in tempo il permesso di soggiorno. Sul contenuto amministrativo-politico dell’azione non entro: si tratta, purtroppo, di una legittima conseguenza del crimine di immigrazione clandestina introdotto nel pacchetto sicurezza, che, per voce degli Uffici diocesani per la pastorale dei migranti, della pastorale sociale e della pastorale della salute, abbiamo già criticato a suo tempo prevedendo conseguenze quanto mai deleterie. Una è appunto questa: i sindaci, dotati di speciali poteri di polizia, vanno in cerca di immigrati irregolari per espellerli, anche se non hanno fatto nulla di male. Il provvedimento è, quindi, legale. Da dire resta molto, invece, circa l’umanità del medesimo. Certo, mi piacerebbe sapere anche che cosa succederà ai cittadini di Coccaglio che hanno “ospitato” clandestini o che hanno la badante o la colf clandestina: anche questi sono in stato di reato! Ma ciò che mi spinge ad alzare la voce è l’abbinamento dell’operazione al Natale. “Forse è stato infelice” dice il Sindaco. “Troppo poco” rispondo, tanto più che il suo Assessore alla sicurezza ha dichiarato che “per me il Natale non è la festa dell’accoglienza, ma della tradizione cristiana, della nostra identità”. Caro assessore, francamente il cristianesimo è un’altra cosa: emarginando il povero (e guarda caso sempre il più debole), emarginiamo lo stesso Cristo e la cosiddetta identità, sbandierata a sostegno di politiche non affatto cristiane, sa solo di strumentalizzazione oltre che di improprietà interpretativa del Vangelo. Quanto poi al fatto che chi propone queste iniziative vanti spesso il suo cristianesimo in nome di frequentazione di scuole cattoliche o del fatto che era “presente a Brescia dal Papa” domenica 8 novembre, mi sembra doveroso ricordare quanto Benedetto XVI ha ribadito nel suo discorso al Convegno di Pastorale per i migranti il giorno seguente al suo viaggio a Brescia: “Fedele all’insegnamento di Gesù ogni comunità cristiana non può non nutrire rispetto e attenzione per tutti gli uomini, creati a immagine e somiglianza di Dio e redenti dal sangue di Cristo, ancor più quando si trovano in difficoltà. Ecco perché la Chiesa invita i fedeli ad aprire il cuore ai migranti e alle loro famiglie, sapendo che essi non sono solo un ‘problema’, ma costituiscono una ‘risorsa’ da saper valorizzare opportunamente per il cammino dell’umanità e per il suo autentico sviluppo”. Buon Natale a tutti, quindi, anche agli amministratori di Coccaglio naturalmente. Che sia bianco e santo, che sappia di accoglienza, nell’ordine, nella sicurezza e nel rispetto di ogni persona umana.
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Rothe Erde: operai contro nel gioco perverso del "si salvi chi può"
La Rothe Erde - Metallurgica Rossi è un'azienda di Visano (Brescia) del gruppo Thyssen Krupp specializzata nella realizzazione di cuscinetti volventi che più di un mese fa ha deciso di staccare 45 licenziamenti su circa 200 dipendenti. Una decisione unilaterale che ha scatenato la protesta e diviso gli stessi sindacati: su un fronte la Cgil, sull'altro Cisl e Uil. In mezzo i dipendenti, chiamati a combattere una guerra tra poveri (sono parole di Francesco Apostoli su Bresciaoggi). Chiamati ad affrontarsi su opposti fronti: chi vuole lavorare e chi picchetta la fabbrica per difendere quei 45 posti (che, a conti fatti, tra pensionamenti e dimissioni volontarie dovrebbero diventare una ventina, dando alla vicenda ulterori pretesti di scontro). Così ieri la tensione è arrivata alle stelle con il blitz dei dipendenti che vogliono lavorare all'interno della fabbrica (non prima di aver rischiato lo scontro fisico al quale ha contribuito una scorta di vigilantes, l'utilizzo dei quali, dopo il caso Eutelia, poteva essere risparmiato soprattutto in una situazione così tesa) e l'assedio dei colleghi del presidio fuori dalla fabbrica (con l'aggiunta di "rinforzi" arrivati dalla città per l'occasione) durato fino a notte. Quando operai e impiegati contrari al blocco hanno potuto lasciare la fabbrica sotto scorta (a proposito, viene da chiedersi: ma le forze dell'ordine non potevano risolvere la questione più rapidamente, evitando che la situazione apparisse quasi come un sequestro di persona?)
Ma cosa si sta giocando, al di là delle proteste, attorno ai cancelli della fabbrica di Visano? Forse le prove generali di un conflitto (che finirà per mettere a dura prova ancora una volta l'unità sindacale) destinato dilagare nelle tante aree di crisi di questa provincia, che rischia in pochi mesi di sacrificare centinaia di posti di lavoro tra chiusure, delocalizzazioni, ristrutturazioni selvagge e dolorose. Forse le prove generali di una congiuntura per nulla confortante e che possiamo definire, con un termine forse poco tecnico ma non per questo meno incisivo: la stagione del "si salvi chi può".
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martedì 17 novembre 2009
Eluana e i giornalisti: una lettera aperta
Sul caso di Eluana Englaro, la ragazza in stato vegetativo dopo un incidente, per la quale il padre aveva ottenuto dalla magistratura il permesso di interrompere ogni accanimento terapeutico alimentazione compresa, così come lei aveva più volte manifestato prima della tragedia, dobbiamo registrare un intervento dell'avvocato della famiglia. Dopo gli esiti dell'esame medico legale sull'encefalo della giovane donna, che denotano una condizione di deperimento dell'organo ormai irreversibile, il legale ha scritto una lettera aperta ai giornalisti italiani.
Un invito a ristabilire la verità dei fatti. Per tutti una riflessione che fa bene ai vivi e ridona serenità ai morti.
Lettera aperta ai giornalisti italiani
Cari Giornalisti,
come reso ormai pubblico, ma per ora senza dar troppo peso, la consulenza ritualmente disposta dalla Procura di Udine sull’encefalo di Eluana Englaro ha accertato che “per loro natura, estensione e severità le lesioni rilevate all’esame neuropatologico sono anatomicamente irreversibili”. Parole chiarissime, anche per chi non sa di medicina: quanto accertato precedentemente dai Giudici, per autorizzare l’interruzione dei trattamenti sanitari, risulta pienamente confermato, sia quanto alla situazione di stato vegetativo sia quanto alla sua irreversibilità.
Si dirà che questo potrà servire a chiudere la vicenda, finalmente. Ma non è così che questa vicenda può e deve chiudersi.
C‘è una questione scientifica ed una questione giuridica la quale è divenuta politica. E su questo terreno ciascuno continuerà a dire la sua legittima opinione, sperando che sappia trarre da quanto ormai è accertato qualche utile insegnamento.
Tuttavia, ed ancor prima, c’è una questione umana che riguarda, oltre che Eluana Englaro, il Sig. Beppino Englaro, suo padre e tutore, e quanti (i pochi) che gli sono stati vicini.
Il Sig. Englaro ha subito, contro ogni evidenza giuridica e scientifica, un terribile processo condotto nelle piazze (in quella moderna piazza che sono la stampa e la televisione), il quale si è tramutato ben presto in un vero e proprio linciaggio morale. Il Sig. Englaro ha dovuto assistere allo spegnersi della figlia udendo, intorno a sé, un gridare incessante, in cui tra altri epiteti, Egli è stato bollato come “assassino”. E la cosa più grave di tutte è che a sollevare queste grida e proferire accuse infamanti non siano state comuni persone ma ministri e parlamentari della Repubblica, altri esponenti di spicco della politica, nonché sedicenti esperti di diritto e di medicina i quali, pressoché tutti senza avere la benché minima cognizione della situazione effettiva e concreta di cui stavano parlando, hanno tranciato giudizi letteralmente imprudenti, come un uomo di scienza ed un professionista non dovrebbe mai fare.
Chi ha in mano il potere, di agire come autorità politica o scientifico-professionale, dopo aver arbitrariamente offeso il Sig. Beppino Englaro, cercherà oggi di imporre il silenzio sulle offese recate alla dignità di quest’uomo. I Giornalisti italiani hanno qui l’occasione per dar prova di coraggio civile: diano agli accertamenti reali ed obiettivi sulla situazione di Eluana Englaro la stessa importanza che hanno dato alle voci che irresponsabilmente hanno leso la dignità del suo padre e tutore. Nessun danno sarà con ciò riparato, ma noi tutti potremmo sperare di vivere in un paese che conosce libertà e giustizia.
Milano, 17 novembre 2009
prof avv. Vittorio Angiolini
ordinario di diritto costituzionale nell’Università di Milano e avvocato nei giudizi concernenti la situazione di Eluana Englaro
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venerdì 13 novembre 2009
Giornalisti: è se fossimo tutti Saviano o Abbate?
Un paio di settimane fa un collega del Giornale di Vicenza (quotidiano del medesimo gruppo editoriale di Bresciaoggi, dove lavoro)ha scorto davanti a casa due taniche di benzina e un innesco. Un piccolo avvertimento per lui che, praticamente da sempre, si occupa di cronaca nera e giudiziaria per il quotidiano veneto.
I giornalisti dunque non vengono minacciati solo nelle zone ad alta densità criminale, ma anche nel nord-est produttivo e libero - si dice - da ogni vincolo delinquenziale.
Ma quanti Roberto Saviano, Lirio Abbate o Pino Maniaci esistono in giro per l'Italia? La federazione della stampa (il sindacato dei giornalisti) ha creato un osservatorio (http://www.fnsi.it/Pubbliche/Pag_osservatorio_o2.asp) sui giornalisti sotto scorta e minacciati. L'osservatorio si chiama "Ossigeno 2", per ridare aria a chi rischia di vedere soffocata la libertà di raccontare ciò che di marcio c'è intorno a noi. Sono tante le storie di colleghi minacciati (spesso free lance poco garantiti e pagati ancor meno) e, quel che più fa male, è pesante l'indifferenza dei colleghi e della categoria.
PER NON FARSI VINCERE DALL'INDIFFERENZA ECCO IL RAPPORTO SUI GIORNALISTI A RISCHIO
Mafia e Giornalismo
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giovedì 12 novembre 2009
Crisi: il caso ex Eutelia e i nuovi rapporti sindacali
Sembra un caso isolato quello dell'ex Eutelia di Roma dove due notti fa un gruppo di vigilantes, capeggiati da un ex amministratore della Agile, azienda che ha rilevato Eutelia, Samuele Landi ha tentato lo sgombero coatto dell'immobile sulla Tiburtina occupato dai dipendenti su cui gravano pesanti tagli occupazionali e un processo di ritrutturazione di lacrime e sangue (i dipendenti non vengono pagati da luglio, i licenziamenti potrebbero arrivare a quota 1200). Quella dell'azienda di telecomunicazioni è un caso limite ma è un campanello d'allarme sul quale fare qualche riflessione prima che diventi il nuovo modo di impostare le relazioni sindacali.
Ecco alcuni video sulla vicenda e le immagini del blitz.
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mercoledì 11 novembre 2009
Se in carcere si muore...
Ieri a Parma un'altra morte in carcere, un'altra inchiesta chiamata a stabilire la verità ed eventuali responsabilità. Chi è entrato in carcere almeno una volta sa che quello è un mondo a parte con proprie regole e proprie dinamiche, codici spesso non scritti ma praticati e sui quali sovraffollamento e condizioni di vita estreme (per tutti, spesso anche per chi fra quelle mura ci lavora con spirito di sacrificio)hanno l'effetto di una tanica di benzina sul fuoco. Più che un commento, io lascerei parlare i dati e le storie, perchè le croci in carcere non sono solo quelle di Giuseppe Saladino o Stefano Cucchi.
Quindi:
1)clicca qui per sapere quante persone sono morte nelle carceri italiane in questi anni (Fonte: www.ristretti.it)
2)consulta qui il dossier "Morire di carcere 2009" (Fonte: www.ristretti.it)
Ed ora ecco i documenti che potete trovare anche sul sito www.ristretti.it
Gli "eventi critici" nelle carceri italiane nel 2008
Carceri: il dossier Suicidi
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Processi brevi e giustizia lunga
Notizia di ieri: si fa strada l'ipotesi di dare un tempo alla giustizia. Una proposta che suona più o meno così: 6 anni per i tre gradi di giudizio, contingentamento che varrà solo per gli incensurati.
Notizia di ieri: la Cassazione ha chiuso in via definitiva il processo a carico di Milena Bertani, ex assessore al bilancio della Regione Lombardia, invischiata in una storia di appalti del dopo alluvione in Valtellina. La Cassazione ha reso definitiva l'assoluzione dell'ex assessore dopo 9 anni.
Detto così non si può che essere solidali con Milena Bertani quando dice "Ho perso nove anni della mia vita per accuse infondate". Detto così non si può non guardare con favore l'esigenza di contingentare per legge la durata dei processi. Ma...
C'è sempre un ma in quest'Italia che si è scordata un briciolo di coerenza: come conciliare l'esigenza di processi rapidi con una macchina giudiziaria abbandonata a se stessa da troppo tempo? Come si fa ad intensificare i dibattimenti - tanto per andare al sodo - se non possono essere celebrati il pomeriggio perchè non ci sono soldi per gli straordinari dei dipendenti, ne è pensabile di organizzare turni di lavoro come in fabbrica? Come si fa a rendere rapidi i processi se non ci sono risorse per pagare le cooperative che si occupano della trascrizione dei verbali di udienza? Come si fa a fare inchieste rapide se molte procure hanno posti coperti solo a metà?
Domande alle quale qualcuno dovrebbe rispondere in maniera credibile prima che si pensi che la proposta sia l'ennesimo tentativo di introdurre una legge ad personam, spacciandola per una grande illuminazione politica (a cui mancano però le basi operative).
Sul tema illuminante questo intervento su La Stampa dell'avvocato Carlo Federico Grosso.
Editoriali
11/11/2009 -
Tutto inutile se i tribunali non funzionano
CARLO FEDERICO GROSSO
Gianfranco Fini avrebbe confermato, ieri, il suo no alla prescrizione breve dei reati. Avrebbe tuttavia avallato la «prescrizione processuale», in forza della quale i processi penali, anche quelli in corso fino alla fase del primo grado, dovranno concludersi entro sei anni (due anni per il primo grado, due per il secondo, due per la Cassazione). Se tali termini non saranno rispettati, scatterà la loro estinzione per decorso del tempo, con la, conseguente, assoluzione degli imputati.
Se questa dovesse essere la nuova disciplina, ho l’impressione che l’obiettivo da tempo perseguito da Berlusconi sarebbe in ogni caso assicurato: nei suoi processi pendenti egli riuscirebbe, ancora una volta, a sfuggire al giudizio dei suoi giudici. Insieme a Berlusconi, sarebbero d’altronde graziati centinaia di altri imputati. Caduto il lodo Alfano per violazione manifesta del principio di eguaglianza, per salvaguardare il premier, e nel contempo l’eguaglianza, si rischierebbe un’impunità generalizzata, con buona pace delle vittime dei reati.
Precisando che una valutazione definitiva su ciò che ci attende potrà essere formulata soltanto quando saranno chiari gli accordi di maggioranza ed esplicitati i testi dei disegni di legge, cerchiamo comunque di capire che cosa significhi, allo stato, prevedere, nel modo indicato, la prescrizione dei processi, compresi quelli in corso fino al giudizio di primo grado.
In astratto stabilire che i processi devono concludersi entro sei anni, con scadenze prefissate per ciascuna fase, sarebbe soluzione splendida. Se si riuscisse nell’intento, il male più rilevante della giustizia si dissolverebbe e, quantomeno con riferimento al tema della durata dei processi, essa diventerebbe giustizia accettabile. Perché una riforma dei tempi possa essere credibile, occorrerebbero tuttavia, quantomeno, due condizioni: che essa riguardi soltanto processi futuri, iniziati cioè da magistrati consapevoli fin dall’inizio della durata consentita; che l’imposizione di tempi stretti sia accompagnata da una riforma adeguata nell’organizzazione e nei mezzi, in grado di rendere possibile, nei fatti, il rispetto delle nuove durate. Altrimenti, se ci si limitasse a stabilire nuove regole, ed a disporre l’estinzione dei processi (compresi quelli in corso) in caso di loro inosservanza, sarebbe lo sfracello: centinaia e centinaia di processi estinti.
E’ vero che Fini, consapevole dei problemi, ha dichiarato di avere chiesto al presidente del Consiglio che alla giustizia siano destinate risorse adeguate alle nuove esigenze. Chiedere non è tuttavia, ovviamente, sufficiente; Tremonti permettendo, sarà necessario quantomeno stanziare. Ma anche stanziare potrà non bastare: occorrerà infatti che gli stanziamenti si concretino in strumenti concreti di efficienza, e che alle nuove risorse si accompagnino comunque altre riforme - di organizzazione e di legislazione - idonee a rendere di fatto praticabili i nuovi tempi stabiliti per la durata dei processi penali.
C’è, inoltre, un altro profilo sul quale è necessario riflettere. Verosimilmente, imboccata la strada della prescrizione dei processi troppo lunghi, la maggioranza avrà molta fretta di approvare la legge. L’urgenza di fare riforme in grado di velocizzare i processi è fuori discussione; è tuttavia altrettanto fuori discussione che realizzare una riforma seria dell’organizzazione giudiziaria richiede tempi tecnici non brevi. Che cosa accadrebbe se vi fosse una sfasatura fra i tempi di approvazione della legge che impone rapidità ai processi penali e di quelle che consentono un’organizzazione della gestione giudiziaria idonea a fronteggiare le nuove prescrizioni in materia di durata consentita?
Ancora. Secondo quanto è emerso, dovrebbero essere coinvolti nei processi a rischio di prescrizione quelli che riguardano reati puniti con la reclusione non superiore nel massimo a dieci anni (compresa, guarda caso, la corruzione), fatti salvi quelli che concernono mafia, terrorismo o, comunque, fatti di particolare allarme sociale. Tutti indifferenziatamente, senza badare alla maggiore o alla minore gravità dei reati, od alla maggiore o minore complessità dell’attività processuale necessaria?
I tempi stretti riguarderebbero d’altronde soltanto gli imputati incensurati. E perché mai? Se la prescrizione processuale non costituisce un premio per gli imputati, ma la risposta ad un’esigenza generale di rapidità processuale, censurati o incensurati la regola dovrebbe essere la stessa.
Si potrebbe continuare. Agli effetti di una prima reazione alle novità che si profilano all’orizzonte della giustizia italiana, quanto ho rilevato mi sembra sufficiente. Con un auspicio. Che gli addetti ai lavori, consapevoli dei problemi, sappiano comunque, se possibile, opporsi agli errori. Che siano in grado di farlo uomini della maggioranza. Che lo facciano, con decisione, tutti gli uomini dell’opposizione, senza indulgenze o compiacenze di sorta.
da La Stampa
lunedì 9 novembre 2009
Il muro è crollato: ma quanti ne abbiamo ancora?
Oggi si celebra il crollo del Muro di Berlino, avvenuto convenzionalmente il 9 novembre 1989. Ho recentemente visto un servizio che ricostruiva con i protagonisti di allora (da Gorbaciov a Khol) le tappe che portarono all'apertura delle frontiere e al crollo della cortina di ferro. Tutti convenivano che quella fu una scelta di popolo, era stata la gente, più che le nomenclature politiche a spingere su quelle barriere affinchè crollassero. Insomma: noi siamo il popolo, si canta ancora in Germania (vedi il video qui sotto). Dopo vent'anni, oltre a celebrare la libertà riconquistata, viene da chiedersi quanti muri abbiamo ancora da abbattere dentro e fuori di noi.
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La Chiesa povera e libera di Benedetto XVI e i talenti di un umile bresciano
Cosa resta della visita di Benedetto XVI nella Brescia di Paolo VI e Sant'Arcangelo Tadini?. Frughi nelle tasche dopo una domenica di pioggia, freddo e tanto entusiasmo per un Papa che, dopo Giovanni Paolo II capace, pur piegato dalla malattia, di far tremare lo stadio Rigamonti nel 1998 reggendosi al pastorale, pensavi poco portato ad infondere quell'empatia che forgia i carismi, e ti ritrovi con tre talenti da far fruttare e un soldo bucato di cui non sai che fartene.
Il primo talento che ti ritrovi tra le mani è quello di un Papa che rompe il protocollo e saluta la gente davanti alla chiesa di Botticino; che parla di un parroco dal carattere non facile che guardava agli operai, al mondo del lavoro come ad una missione; che parla di San Tadini come di maestro, di un esempio da seguire per aiutare il prossimo, con un pensiero che va alla crisi. Quella stessa crisi che, un'ora dopo si concretizzerà all'offertorio della messa papale con la presenza di tre operai delle aziende bresciane in difficoltà. Il primo talento è anche quello di un Papa che si ferma, benedice e prega, davanti ad una stele in piazza della Loggia, davanti ad una colonna sbrecciata il cui marmo ha martoriato a morte le carni di otto persone in una giornata altrettanto piovosa del 28 maggio 1974. E', questo primo talento, il talento di una Chiesa che sa e deve parlare innanzitutto al cuore, alla città, al vivere quotidiano. Una Chiesa che senti vicina, che sa rispondere all'Sos delle tue fatiche, delle tue sofferenze, delle tue difficoltà.
Il secondo talento è quello predicato in piazza Duomo, quello che racconta di una Chiesa "povera e libera" che sappia parlare al mondo, la Chiesa della vedova povera che mette in un obolo tutte le sue sostanze, la Chiesa del parroco degli operai e della dignità del lavoro, la Chiesa del Papa che scrisse l'"Ecclesiam suam" nella quale - sono parole di Benedetto XVI - "si proponeva di spiegare a tutti l'importanza della Chiesa per la salvezza dell'umanità e l'esigenza che tra la Comunità ecclesiale e la società si stabilisca un rapporto di mutua conoscenza e di amore". Un rapporto che per la Chiesa deve rimanere centrale.
Il terzo talento è quello di una Chiesa che educa ai pensieri forti. "Papa Montini - ha ricordato Ratzinger - spiega che il giovane va educato a giudicare l'ambiente in cui vive e opera, a considerarsi come persona e non numero nella massa: in una parola ad avere un "pensiero forte", capace di un "agire forte". Paolo VI con coraggio indicò la strada dell'incontro con Cristo come esperienza educativa liberante e unica vera risposta ai desideri e alle espirazioni dei giovani, divenuti vittime dell'ideologia". Insomma una Chiesa che educa al coraggio di essere cristiani, alla tenacia di testimoniarlo non conformandosi alla mentalità del mondo.
Guardo questi tre talenti tra le mani e mi verrebbe voglia di sotterrarli aspettando tempi migliori. Aspettando una Chiesa veramente povera e libera, veramente vicina alla comunità, veramente proiettata verso "valori forti" anche se anticonformisti e invisi ai "carrieristi figli di Zebedeo" (per dirla con Cesare Trebeschi in un un'intervista a Bresciaoggi di qualche giorno fa). Li rigiro tra le mani e poi penso che anche io sono Chiesa e forse, questa Chiesa in difficoltà merita qualche sforzo di testimonianza, qualche prova di coraggio, come quella civile di Paolo VI davanti al dramma del sequestro Moro.
E il soldo bucato? Eccolo qui: porta incise le frasi fatte di quei politici che "parlano di radici cristiane" come se fosse l'etichetta di un paio di jeans o brandiscono il crocefisso (non fa nulla se lo hanno tolto dal muro senza coorgersi che era coperto di polvere e dimenticato da tempo) brandendolo come una spada per una battaglia tutta politica, tutta ideologica. Una battaglia tanto, troppo, lontana da quella Chiesa "povera e libera" che si specchia dell'obolo della vedova.
Ps. Sul tema del crocifisso e della sentenza della Corte Europea consiglio la lettura di una riflessione di padre Marcello Storgato e di un intervento di Raniero La Valle ospitati su sito bresciano di "Religioni per la Pace"
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sabato 7 novembre 2009
Aspettando il Papa: il faccia a faccia Tarantini - Trebeschi
Televisivamente parlando potrebbe essere una di quelle interviste incrociate che hanno fatto la fortuna di un programma come "Le Iene", giornalisticamente è invece un confronto serrato tra le due anime del cattolicesimo bresciano: quella rappresentato da Graziano Tarantini (classe 1960), fra i fautori delle fortune di Cl a Brescia (da questo mondo proviene l'attuale sindaco del Centro-destra della città, Adriano Paroli, e lo stesso Tarantini guida il consiglio di sorveglianza della Multiutility A2A) e quella che ha in Cesare Trebeschi (classe 1925, ex sindaco di Brescia dal '75 all'85) un rappresentante autorevole della cultura cattolico democratica di Brescia. A proporlo è Massimo Tedeschi sull'edizione odierna di Bresciaoggi che aspettando la visita di Papa Benedetto XVI di domani ha sondato le aspettative dei bresciani. Ieri era il laico Emanuele Severino a dire la sua, oggi sono Tarantini e Trebeschi a raccontarci da credenti la loro visione del cattolicesimo bresciano.
Visioni molto plurali, che ci dicono come sotto un crocefisso convivano anime apparentemente inconciliabili. E alla domanda su come giudica lo stato della chiesa bresciana le differenze sembrano divise da un solco profondo.
"Credo che sul piano pratico le istituzioni, i palazzi siano solidi, ma gli uomini di fede dovrebbero avere il coraggio il limite di possesso di questi beni. La Chiesa dovrebbe sentire quando le cose si affievoliscono per consegnarle agli altri" spiega Tarantini dando quasi l'imprensione di aspirare ad una egemonia ciellina. "Il rischio - precisa poi - è di fare tanti vuoti che danno l'idea di un museo. Se una fondazione non ha più linfa è giusto darla a chi ha energie. Se Cl cresce dovrebbero dare spazio a questa presenza".
"Nel '98 si parlò di 200 mila bresciani che avevano incontrato il Papa, stavolta se ne prevedono 50mila - va subito al sodo, invece, Trebeschi -. Ormai non c'è più solo un crollo di vocazioni, ma di religiosità. La chiesa bresciana ha subito le sue sconfitte come quella sul bonus bebè. Quella è stata una sconfitta per la chiesa di Paroli"
E il rapporto con il potere? "Io ho il potere, e uno deve sempre avere la presunzione di gestirlo meglio di un altro - spiega Tarantini -. Detto questo ne sono libero. Chi è attaccato al potere si abbruttisce. Io non voglio diventare un brutto".
"Bisognerebbe chiedersi - argomenta Trebeschi - quali siano i veri diritti umani: per me lo è la dignità della vita dalla nascita alla morte. Mi sa tanto di farisaismo la campagna contro l'aborto se non si riconosce la piena dignità di tutti i nati. Il mio sesto figlio è down e posso dire che il 90% degli amministratori che si dicono cristiani discriminano i disabili. E' stato Benedetto XVI a Praga a dire che servono politici credenti e credibili".
E al Papa cosa vorrebbero chiedere Tarantini e Trebeschi?
"No gli farei una domanda - spiega Tarantini -, gli ricorderei la prima volta che l'ho visto al Meeting, gli direi che da allora l'ho letto tutto e aggiungerei: Le tue parole, le tue promesse, non mi hanno mai tradito".
"Gli chiederei di esserci maestro di fede. Ci insegni a guardarci dalla geografia del potere. Ci auti a capire i segni dei tempi, a guardarci dallo zelo degli apostoli che allontanano i piccoli e i disturbatori: corregga il carrierismo dei figli di Zebedeo. Ci aiuti a pregare il padre nostro e se è nostro e non solo mio è padre di tutti, anche di quelli che sui barconi vorrebbero venire da noi e noi non li lasciamo, perchè le cose vogliamo tenercele tutte noi".
Amen.
P.s.: sulle anime del cattolicesimo bresciano segnalo un interesante intervento di Don Fabio Corazzina sul numero di luglio/agosto di Battaglie sociali, la rivista delle Acli Bresciane. Scarica il numero cliccando qui. L'articolo si intitola:"Niente feudi e privilegi".
Visioni molto plurali, che ci dicono come sotto un crocefisso convivano anime apparentemente inconciliabili. E alla domanda su come giudica lo stato della chiesa bresciana le differenze sembrano divise da un solco profondo.
"Credo che sul piano pratico le istituzioni, i palazzi siano solidi, ma gli uomini di fede dovrebbero avere il coraggio il limite di possesso di questi beni. La Chiesa dovrebbe sentire quando le cose si affievoliscono per consegnarle agli altri" spiega Tarantini dando quasi l'imprensione di aspirare ad una egemonia ciellina. "Il rischio - precisa poi - è di fare tanti vuoti che danno l'idea di un museo. Se una fondazione non ha più linfa è giusto darla a chi ha energie. Se Cl cresce dovrebbero dare spazio a questa presenza".
"Nel '98 si parlò di 200 mila bresciani che avevano incontrato il Papa, stavolta se ne prevedono 50mila - va subito al sodo, invece, Trebeschi -. Ormai non c'è più solo un crollo di vocazioni, ma di religiosità. La chiesa bresciana ha subito le sue sconfitte come quella sul bonus bebè. Quella è stata una sconfitta per la chiesa di Paroli"
E il rapporto con il potere? "Io ho il potere, e uno deve sempre avere la presunzione di gestirlo meglio di un altro - spiega Tarantini -. Detto questo ne sono libero. Chi è attaccato al potere si abbruttisce. Io non voglio diventare un brutto".
"Bisognerebbe chiedersi - argomenta Trebeschi - quali siano i veri diritti umani: per me lo è la dignità della vita dalla nascita alla morte. Mi sa tanto di farisaismo la campagna contro l'aborto se non si riconosce la piena dignità di tutti i nati. Il mio sesto figlio è down e posso dire che il 90% degli amministratori che si dicono cristiani discriminano i disabili. E' stato Benedetto XVI a Praga a dire che servono politici credenti e credibili".
E al Papa cosa vorrebbero chiedere Tarantini e Trebeschi?
"No gli farei una domanda - spiega Tarantini -, gli ricorderei la prima volta che l'ho visto al Meeting, gli direi che da allora l'ho letto tutto e aggiungerei: Le tue parole, le tue promesse, non mi hanno mai tradito".
"Gli chiederei di esserci maestro di fede. Ci insegni a guardarci dalla geografia del potere. Ci auti a capire i segni dei tempi, a guardarci dallo zelo degli apostoli che allontanano i piccoli e i disturbatori: corregga il carrierismo dei figli di Zebedeo. Ci aiuti a pregare il padre nostro e se è nostro e non solo mio è padre di tutti, anche di quelli che sui barconi vorrebbero venire da noi e noi non li lasciamo, perchè le cose vogliamo tenercele tutte noi".
Amen.
P.s.: sulle anime del cattolicesimo bresciano segnalo un interesante intervento di Don Fabio Corazzina sul numero di luglio/agosto di Battaglie sociali, la rivista delle Acli Bresciane. Scarica il numero cliccando qui. L'articolo si intitola:"Niente feudi e privilegi".
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venerdì 6 novembre 2009
Scontro tra treni: e la sicurezza?
Ieri giornata intensa per un incidente che ha dell'assurdo: può un treno lasciato incustodito partire per inerzia e dopo oltre un chilometro schiantarsi contro un convoglio in arrivo? La risposta è sì: è successo ieri tra Vello e Marone e si è rischiata la strage.
No comment.
Il macchinista del secondo treno ha detto: "sembrava di essere in un film"
A me la scena ha ricordato anche "La Locomotiva" di Guccini con una piccola variante: nessuna rivendicazione sociale, solo tanta negligenza.
No comment.
Il macchinista del secondo treno ha detto: "sembrava di essere in un film"
A me la scena ha ricordato anche "La Locomotiva" di Guccini con una piccola variante: nessuna rivendicazione sociale, solo tanta negligenza.
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giovedì 5 novembre 2009
Elezioni a Orzinuovi e Angolo Terme: ecco le ordinanze del Tar per riesaminare alcune schede
Ad Angolo Terme la maggioranza governa per un solo voto di scarto. A Orzinuovi i voti di scarto sono due. Inevitabile, quindi, il ricorso al Tar da parte degli sconfitti per chiedere un riconteggio dei voti e una rivalutazione delle schede che potevano manifestare qualche dubbio. Il tar ha disposto il riconteggio parzale dei voti delle amministrative di giugno 2009 in entrambi i casi e, come anticipa il quotidiano Bresciaoggi nell'edizione di ieri, il tar valuterà gli esiti del riconteggio l'11 febbraio prossimo.
Intanto ecco il contenuto dei due provvedimenti della sezione bresciana del tribunale amministrativo.
IL CASO ORZINUOVI
Orzinuovi, elezioni 2009
IL CASO ANGOLO TERME
Angolo Terme, elezioni 2009
martedì 3 novembre 2009
La crisi va avanti, consoliamoci con l'inflazione che ci riporta indietro di 50 anni
La crisi macina morti, continua a sacrificare posti di lavoro sull'altare della ripresa fino ad ora solo sperata. Ormai è quasi un'incombenza quotidiana aggiornare la mappa delle aziende che chiudono, mandano lettere di mobilità, ampliano il ricorso alla cassa integrazione, imboccano la strada dei contratti di solidarietà. Sembra di stare come Emilio Fede con la bandierine in mano la notte dello spoglio elettorale. Solo che i vessilli non sono nè rossi nè azzurri: sono neri, o, ad essere ottimisti, grigi come il futuro di tante famiglie.
Come andrà a finire? Difficile dirlo, anche perchè l'immagine che se ne ricava è quella di un'auto bloccata nel fango, che per tornare a marciare ha bisogno di essere alleggerita del carico.
Comunque Silvio B. ci dice di essere ottimisti e qualcosa per consolarci lo troviamo nelle anticipazioni mensili sui prezzi fornite dall'Unità di staff statistica del comune di Brescia che li rileva per conto dell'Istat. "Nonostante un leggero incremento del tasso tendenziale (più 0,2% rispetto ad un anno fa) a ottobre - spiegano gli esperti bresciani -, l’inflazione a Brescia resta ai
livelli più bassi degli ultimi 50 anni (pressochè stabile - più 0,1% - rispetto al mese di settembre). Influiscono, in aumento, i capitoli Altri Beni e Servizi (con sensibili aumenti nei servizi finanziari-assicurativi e nel prezzo dell’oro), Istruzione (tasse universitarie), Ricreazione Spettacolo e Cultura, Abbigliamento e Calzature, Prodotti Alimentari e Bevande Analcoliche (che inverte la tendenza
registrata negli ultimi tre mesi), Bevande Alcoliche e Tabacchi (aumenti diffusi tra gli alcolici) e Mobili e Servizi per la Casa. In calo i capitoli Trasporti (carburanti, viaggi nazionali e trasporti marittimi), Comunicazioni (telefonia mobile), Servizi Ricettivi e Ristorazione (agriturismi e camping), Abitazione Acqua Energia Elettrica e Combustibili (cali di prezzo soprattutto per le tariffe del gas) e Servizi Sanitari e Spese per la Salute (medicinali con obbligo prescrizione). Ancora deflativo (da dodici mesi consecutivi) il trend di Brescia, a
segnalare una situazione di stagnazione economica complessiva e dei consumi in particolare".
Insomma, non so se, tirando le somme, è una buona notizia. Non so se è bello sapere che il metano e il gasolio per il riscaldamento quest'inverno lo pagheremo - rispettivamente - l'1,3% e l'1,9% in meno, quando siamo cassintegrati o disoccupati e arrivare a fine mese è comunque un'impresa. Non so se ne possiamo gioire, certo è che dobbiamo accontentarci.
COME AL SOLITO ECCO TUTTI I DATI SULL'INFLAZIONE A BRESCIA:
Inflazione a Brescia Ottobre 2009
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domenica 1 novembre 2009
Arrivederci, Alda
"(Sono una piccola ape furibonda.)
Mi piace cambiare di colore.
Mi piace cambiare di misura". (Alda Merini)
Se n'è andata oggi Alda Merini poetessa dalla vita faticosa, che ha conosciuto l'arte e la pazzia. Una di quelle figure che fanno amare la poesia come modo per riconciliarsi con la vita. Arrivederci Alda.
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