martedì 26 maggio 2009
Strage di piazza Loggia, la settimana del ricordo. L'anno della svolta?
Pioveva in piazza Loggia il 28 maggio 1974. Ora, a 35 anni di distanza, questa settimana verrà ricordata come una delle più calde degli anni recenti. E' cambiato il clima in Italia. E guardando quella colonna sbrecciata da una bomba, che era stata nascosta in un cestino la mattina del 28 maggio '74 nella piazza principale di Brescia, viene voglia di sperare che il clima, a 35 anni di distanza da quella strage (otto morti, un centinaio di feriti, tre inchieste giudiziarie, tanti processi e fino ad ora nessun colpevole)cambi anche da noi. E' un anno speciale questo trentacinquesimo anno dalla bomba alla manifestazione antifascista. E' l'anno nel quale mentre in piazza si commemora, nelle sale e nelle scuole della città si ricorda e riflette, a palazzo di Giustizia si tenta di percorrere l'ennesima strada che porta alla verità. Una verità lontana, dove più che le parole dei vivi, parlano le azioni attribuite ai morti (anche chi mise materialmente la bomba quel giorno secondo l'accusa è da tempo passato a miglior vita).
Fa un certo effetto sentir parlare degli eventi che hanno tristemente costellato la strategia della tensione degli anni '70, di quella guerra non convenzionale che voleva destabilizzare l'Italia con la complicità di apparati deviati dello Stato, da anziani incanutiti che spesso hanno bruciato la giovinezza in carcere (qualcuno, per troppa assiduità con le celle si è trasformato in delinquente abituale, senza nemmeno più una colorazione politica con la quale "nobilitare", si fa per dire, le proprie azioni) e che ora vorrebbero solo essere dimenticati. Stanati da una giustizia cocciuta (che di quegli anni ha da tempo individuato "il marchio di fabbrica", per usare le parole dell'allora Giudice istruttore Giampaolo Zorzi, colui che per primo inquadrò Brescia in un contesto di "guerra" nazionale) quei grandi vecchi dell'eversione nera non hanno perso la loro diffidenza, la loro indole reticente. Del resto sono in un'aula di giustizia e, persi gli appoggi e le coperture istituzionali degli anni '70, sono naufraghi di una stagione che tanti vorrebbero dimenticare e l'unica àncora di salvezza per loro ha spesso un solo nome: silenzio.
Un silenzio, a 35 anni di distanza, che allontana la svolta, la nuova stagione, quella più volte invocata da un uomo cocciuto come Manlio Milani, presidente dell'associazione dei famigliari delle vittime di Piazza Loggia, un uomo che ha fatto della memoria e della verità, come strumenti per capire chi siamo e dove vogliamo andare, le direttrici della propria quotidianità. Manlio Milani, qualche settimana fa, quando davanti al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, nella giornata dedicata alle vittime del terrorismo, Gemma Calabresi, la moglie del commissario ucciso a Milano negli anni '70, e la vedova Pinelli, l'anarchico precipitato all'indomani della Strage di piazza Fontana (1969) da una finestra della Questura meneghina, si incontrarono, aveva parlato dell'inizio di un nuovo cammino in cui, nel nome della verità, iniziava la riconciliazione. Lo chiamano modello Sud Africa, perchè lo stato di Nelson Mandela chiuse i conti in sospeso con l'Apartheid, chiamando i carnefici a confessioni pubbliche davanti alle vittime. Così, esistono toccanti documenti in proposito, abbiamo visto poliziotti e membri di squadre speciali raccontare, davanti a madri distrutte dal dolore, uomini mutilati dalla crudeltà umana, quelle aggressioni fatte nel nome di uno Stato che, dopo anni, riconosceva le sue colpe e voleva voltare pagina.
Forse non è la sede adatta quella di un'aula di tribunale (dove si cerca una verità giudiziaria), ma quanto sarebbe bello se cadessero finalmente i veli di ipocrisia e i "non ricordo" sui mille depistaggi di quegli anni, sul ruolo di tanti "servitori" infedeli dello Stato, su quella guerra non convenzionale che si è combattuta in un'Italia che ha pagato con centinaia di morti, decine di attentati. Quanto sarebbe bello se si aprissero finalmente gli armadi, cadessero i segreti, si desse finalmente aria alle stanze nebbiose di un'epoca che ha lasciato solo dolore, silenzi e rabbia.
E' possibile che una nuova primavera rompa finalmente il ricordo uggioso di una giornata di maggio di 35 anni? Manlio Milani è convinto di sì: lo deve a sua moglie Livia; lo deve a Giulietta Banzi Bazoli, Euplo Natali, Luigi Pinto, Bartolomeo Talenti, Alberto Trebeschi, Clementina Calzari Trebeschi e Vittorio Zambarda. Volti e storie che da 35 anni cercano il riposo del giusto. E lo troveranno solo nella verità.
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