Subscribe Twitter FaceBook

martedì 31 marzo 2009

Ci hanno detto che dobbiamo morire.





Com'è la vita a cento anni?




"Ho perso un po' la vista, molto l'udito. Alle conferenze non vedo le proiezioni e non sento bene. Ma penso più adesso di quando avevo vent'anni. Il corpo faccia quello che vuole. Io non sono il corpo. Io sono la mente"
(Rita Levi Montalcini intervistata dallo scrittore Paolo Giordano per il mensile Wired)




Ci dicono che dobbiamo morire. Ci dicono che siamo finiti, che le nuove tecnologie ci renderanno vecchi e osboleti come una vecchia radio con le valvole. Ci dicono che costiamo troppo, come quel centro tavola di Capomonte, che han regalato ai miei per le nozze d'argento. Ci dicono che siamo di troppo in questo mondo dove marketing fa così poco rima con journalism.


Ci dicono, insomma che dobbiamo morire. Professionalmente, intendo. Ma noi ci sentiamo un po' come Rita Levi Montalcini: forse provati nel fisico (un fisico di carta, che molti non usano più nemmeno per avvolgere il pesce o imbiancare la casa), ma noi non siamo il corpo. Siamo la mente. La mente prestata ad un mondo che non aspetta altro che essere raccontato; la mente che sa distinguere i fatti dalle opinioni, che aiuta a discernere fra ciò che sta succedendo e ciò che altri vorrebbero che accadesse, che aiuta a capire il mondo partendo dai fatti e non dagli aggettivi.

Eppure ci dicono che siamo finiti, che la crisi economica accelererà ciò che la rivoluzione tecnologica ha instradato: il nostro declino. E il viottolo in discesa l'abbiamo costruito un po' anche noi, barattando l'autorevolezza con i privilegi, un po' di verità con un giro di valzer sulla giostra del potere. Così non stupiamoci se il 68 % dei lombardi, in una indagine recente, ci ha giudicato bugiardi , il 60% ha ritenuto inadeguata la nostra informazione, il 52% "di parte" il nostro lavoro.
Ci dicono anche per questo che dobbiamo morire, che l'informazione sulla rete è ovunque e che, quindi, noi possiamo anche non essere in alcun posto.
Ma c'è anche chi dice che, forse, spariranno i giornali, ma resterà il giornalismo con le sue regole e le sue tecniche capaci di garantire informazione qualificata, comprensibile, obiettiva.
Ci dicono che dobbiamo morire, ma se sapremo rigenerarci forse a morire sarà solo il corpo.
E noi non siamo il corpo. "Siamo la mente".



Aggiornamenti/2. Giustizia, cercando di superare l'Angola

Dopo l'atto di accusa, l'ennesimo, del Consiglio d'Europa sulla lunghezza dei processi in Italia (ricordate? veniamo dopo l'Angola), Vittorio Grevi, docente universitario a Pavia e giurista, torna a parlare di processi lumaca sul Corriere della sera di oggi (pagina 54). Ci torna confermando, come aveva già fatto in passato, che l'Italia, in tema di riforma della Giustizia, se non con qualche sia pur significativa eccezione, sta facendo sforzi in direzioni diverse da quelle di far guadagnare all'amministrazione giudiziaria efficienza.
Non remano in quella direzione, ad esempio, gli avvocati, che in questi giorni si stanno astenendo dalle udienze penali portando avanti la loro tradizionale battaglia per il "giusto processo", i temi della separazione delle carriere tra pubblici ministeri e giudici di tribunale, la rimodulazione dell'obbligatorietà dell'azione penale, la riforma del Csm. Temi rispettabilissimi - osserva Grevi - ma non in grado di "fornire una risposta concreta ed efficace alle sollecitazioni del Consiglio d'Europa".
Così il Governo che, se qualche spunto interessante lo offre sul fronte della riforma della giustizia civile, altrettanto non si può dire guardando al ramo penale dove - sono parole sue - "la situazione è davvero desolante".
Insomma: riusciremo mai a superare l'Angola?

Aggiornamenti/1. L'uomo semplice diventa un po' immortale

Ricordate la storia di Domenica Bulla detto Ménec da Villachiara (Brescia), morto per un attacco di cuore nella piazza del paese la scorsa settimana? Ricordate l'affetto manifestato da tanti, anche in rete per quest'uomo con una qualità su tutte, la semplicità?
Ora la voglia di tributargli un tocco di immortalità è sfociata su Facebook con la nascita del gruppo "In ricordo del Ménec" animato da Alessandro Micheli (fondatore) e Luciano Zanoni.
"Ho voluto creare questo gruppo per ricordare la figura di Domenico Bulla per tutti Ménèc. Per anni da sacrista ha accompagnato processioni e funerali, e aveva sempre una parola per tutti, un semplice saluto o una battuta. La sua figura mancherà a tutta Villachiara e non solo e mi è sembrato giusto ricordarlo con questa bella foto scattata da Luciano Zanoni. Ciao Ménèc" scrive Micheli presentando il gruppo nel quale il profilo Ménec si staglia alle spalle di una campana (è la stessa foto che compare in questo blog). In tanti hanno risposto all'appello di ricordare Domenico Bulla: i membri del gruppo sono già a quota 76. Ciao Ménec...

venerdì 27 marzo 2009

Giustizia? Veniamo dopo l'Angola


"La giustizia è l'insieme delle norme che perpetuano un tipo umano in una civiltà" (Antoine de Saint-Exupéry)
E' un principio giornalistico consolidato: se una notizia diventa routine, anche se importante è facile che finisca tra le "brevi". Così nelle edizioni di oggi di qualche quotidiano troviamo l'ennesima condanna del Consiglio d'Europa per la lentezza delle procedure giudiziarie italiane a far da riempitivo agli ingombri pubblicitari (cfr. Corriere della sera del 27 marzo, pagina 23).
Eppure quelle poche righe dicono una verità agghiacciante: per la lentezza dei processi l'Italia è 156esima nel mondo, dopo Angola, Gabon, Guinea e Sao Tomè. Bel colpo, Italia!
Parecchi anni fa venne a trovarmi in redazione un sarto con laboratorio nel centro di Brescia, aveva una storia da raccontarmi che già allora faceva gridare allo scandalo: la moglie era morta 10 anni prima, colpita da un male atroce e doloroso, un male che, nei sospetti del marito disperato, era stato mal diagnostica e altrettanto malamente curato. Ne nacque una causa civile che, dopo dieci anni, non aveva ancora esaurito il primo grado di giudizio. "Io non voglio aver ragione a tutti i costi - spiegava quell'uomo con composta dignità -: vorrei solo che la giustizia mi dicesse se per salvare mia moglie sia stato fatto tutto il possibile e se i medici abbiano lavorato con scrupolo e competenza professionale".
Richiesta sacrosanta che forse in Angola sarebbe stata soddisfatta con più celerità. Ricordo che dopo aver raccolto la testimonianza del sarto bresciano parlai con il presidente del tribunale di allora che, lasciò da parte le difese d'ufficio, le belle parole da uomo di diritto, e allargò le braccia facendo capire che forse quella storia era un caso limite, ma la routine della giustizia civile bresciana non era molto diversa.
Sono passati anni da quel giorno, ma non c'è inaugurazione di anno giudiziario che non mi si dipinga davanti la faccia rassegnata di quel sarto bresciano al cospetto di uno Stato incapace di dargli risposte in tempi rapidi. Un segno di civiltà, che nessuno è ancora in grado di garantire.
Ne usciremo mai da questa situazione? La vedo dura. Servono sì più mezzi, più uomini (vedi la situazione di certe procure e di certi tribunali), nuove regole, ma anche una nuova mentalità. Come conciliamo la necessità di processi rapidi con il vecchio principio che per un avvocato riuscire a lucrare un rinvio nel corso del processo è una mezza vittoria, un passo importante verso l'unica giustizia che funzioni: la prescrizione?
Come conciliamo la necessità di processi spediti se non si mette mano in maniera seria ad un lavoro di depenalizzazione dei reati minori ma, al contrario, non si spreca occasione per aggiungere nuove ipotesi criminose, che potrebbero essere comodamente perseguite per via amministrativa?
Dilemmi mai sciolti sui quali nemmeno la riforma della giustizia del ministro Angelino Alfano sembra dare risposte incoraggianti. Il Guardasigilli ieri si è affrettato a dire che con la riforma cambieranno molte cose e vi sarà quell'accelerata in campo Civile attesa da tempo. Gli esperti non ne sono così sicuri. Vittorio Grevi in un articolo sul Corriere della Sera (http://archiviostorico.corriere.it/2009/febbraio/08/rischio_processi_piu_lenti_co_9_090208032.shtml)
del febbraio scorso, denuncia, ad esempio, come il progetto del Governo sulla giustizia penale finisca per perseguire altre finalità rispetto all'esigenza di maggiore funzionalità. "La sensazione - conclude Grevi - è che - semmai dovesse diventare legge il progetto Alfano - difficilmente potrebbero riceverne concreti vantaggi la funzionalità e la durata del processo penale".
Sarà così o l'insigne docente universitario rema contro?
A Brescia c'è un sarto che aspetta.... per non sentirsi dire dal venditore africano che bazzica il centro storico della città lombarda che in Angola le cose vanno meglio.

giovedì 26 marzo 2009

Elogio dell'uomo semplice




"La semplicità è la forma della vera grandezza" (Francesco De Sanctis)


La storia che sto per raccontare sarebbe piaciuta a Mario Soldati e Cesare Zavattini, indagatori di vite semplici tra campagne e grandi fiumi ai tempi della tv in bianco e nero. E' la storia di Domenico Bulla detto Ménec, 60 anni, e di un paese, il suo paese, Villachiara, borgo da mille abitanti in riva all'Oglio, Bassa bresciana profonda, un tempo terra di grandi cascine e di lotte contadine, oggi capace di difendere con orgoglio la sua identità rurale. Domenico se n'è andato l'altra mattina in piazza, all'ombra del castello e della chiesa: si è stretto le mani al petto e il suo cuore già malato ha tolto l'energia a questo omone da un quintale e passa. E ha tolto a tanti, a Villachiara, la presenza rassicurante e amica di Ménec, il gigante buono che, al pari del sindaco e del parroco, qui era come un'istituzione.

Se avesse avuto il talento artistico, avremmo forse celebrato un nuovo Ligabue che sfrecciava per le strade del suo paese non in sella a qualche cromata maxi moto, ma su un vespino male in arnese. Ma la vita a Ménec aveva lesinato i talenti, gliene aveva dato uno piccolo, ma grande: quello della semplicità.

La semplicità che si trasformava in disponibilità verso la comunità, la semplicità che diventava una parola, un gesto, un sorriso, un rimbrotto... L'essenzialità di un amico semplice, che hai sempre trovato lì, seduto al bar della piazza, e che ora che non c'è più ne senti la mancanza.

Così la semplicità di Ménec, una storia ad alto tasso di umanità che ancora i nostri paesi di provincia sanno dispensarci, ieri si è sposata con la complessità della rete. E' bastato che Paolo e Luciano Zanoni (sua la foto di Ménec in questo post), che di Villachiara sono da anni attenti cronisti, affidassero a Facebook la notizia della morte di Domenico Bulla per far piovere sulla rete commenti commossi e ricordi affettuosi.

"Ciao piccolo grande uomo" scrive Laura, "Un grande amico dei bambini, una preghiera per te", fanno sapere dall'asilo di Villachiara, "Menec era un grande sole nel nostro paese" posta in rete Paola.

Parole cariche di affetto per l'elogio di un uomo semplice. Un'orazione funebre telematica che conferma, negli anni difficili della complessità, quando la semplicità, quella vera, sia la vera grandezza.

mercoledì 25 marzo 2009

L'armadio delle parole e la notte in Italia

"Questa notte che corre e il futuro che arriva chissà se ha fiato"...
Chiamale se vuoi coincidenze, ma aver sentito Ivano Fossati cantare "Una notte in Italia" (ieri sera a "X Factor" in coppia con Morgan), alla vigilia di questo "post" inaugurale e come se questo esperimento mediatico, questo armadio stipato di parole nel quale fare un po' di ordine, iniziasse con il giusto mix di carica riflessiva, voglia di andare a ruota libera, necessità di raccontare qualcosa. Voglia di mettere a dimora concetti, di sollecitare riflessioni, di strutturare idee in questa notte italiana dove si sente ma non si ascolta, si guarda ma non si vede. E la nostra fortuna sta nel "vivere adesso questo tempo sbandato" e di viverlo "in un parcheggio in cima al mondo". Un parcheggio on line dal quale scrutare il flusso delle idee, il vivere delle storie, in un'epoca in cui dicono che il tuo modo professionale di osservare, di raccontare, di far capire, è destinato a finire stritolato in una macchina mediatica che corre sempre più veloce, che vuole andare lontano, senza sapere, però, se avrà il fiato necessario per farlo.
Come sfogarsi in questo parcheggio in cima al mondo in un'epoca dove è vietato anche giocare a calcio nei parchi, perchè si pensa che basti un divieto per educare, un cinque in condotta per raddrizzare un'adoloscenza nata storta? Vincendo la pigrizia e tirando fuori dall'armadio, storie, notizie, riflessioni: le parole non mancano, per le idee ci stiamo attrezzando. Anche con il vostro aiuto. Benevenuti nel mio blog.