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giovedì 21 maggio 2009

Le città tra solidarietà e apartheid

1) «Ebbene, signori Consiglieri, io ve lo dichiaro con fermezza fraterna ma decisa: voi avete nei miei confronti un solo diritto: quello di negarmi la fiducia! Ma non avete il diritto di dirmi: signor Sindaco non si interessi delle creature senza lavoro (licenziati o disoccupati), senza casa (sfrattati), senza assistenza (vecchi, malati, bambini, ecc.). È il mio dovere fondamentale questo: dovere che non ammette discriminazioni e che mi deriva prima che dalla mia posizione di capo della città -e quindi capo della unica e solidale famiglia cittadina- dalla mia coscienza di cristiano: c'è qui in giuoco la sostanza stessa della grazia e dell 'Evangelo! Se c'è uno che soffre io ho un dovere preciso: intervenire in tutti i modi con tutti gli accorgimenti che l'amore suggerisce e che la legge fornisce, perché quella sofferenza sia o diminuita o lenita.Altra norma di condotta per un Sindaco in genere e per un Sindaco cristiano in ispecie non c'è! »
2) «Diecimila disoccupati, 3000 sfrattati, 17000 libretti di povertà. Poi le considerazioni: ..cosa deve fare il sindaco? Può lavarsi le mani dicendo a tutti: "scusate, non posso interessarmi di voi perché non sono statalista ma
interclassista?" » (Giorgio La Pira, 1904 - 1977)



Dopo le parole di ieri del Cardinal Dionigi Tettamanzi al Corriere della Sera si apre il dibattito sul futuro della città (Milano) un futuro che accomuna tante città, piccole o grandi,d'Italia. Un dibattito che, di questi tempi, in questa campagna elettorale non puo'non essere uno stimolo per salvare queste comunità che per dirla con Salvatore Veca - sono malate, sono spesso "non luoghi che secernano solitudini". E mentre il Cardinal Tettamanzi esorta a costruire comunità solidali, la Cei mette in guardia sul rischio apartheid dopo alcune uscite elettoralistiche che vorrebbero posti riservati sui mezzi pubblici agli italiani. Alla Cei replica Matteo Salvini, parlamentare leghista e autore della proposta: "Girando per la campagna elettorale - spiega - ho incontrato un paio di frati a Milano e alcuni preti in un comune del Bergamasco. In entrambi i casi si sono avvicinati ai nostri gazebo chiedendoci di tenere duro. Evidentemente la Chiesa reale, quella che sta sul territorio, soffre i problemi della gente molto più che il Vaticano. Dove di clandestini, si sa, ce ne sono pochini. A Milano e a Bergamo, invece, ce ne sono tanti, troppi". Chissà come la metteranno questi preti con il passo del Levitico citato proprio dal Cardinal Tettamanzi nell'intervista al Corriere: "Tratterete lo stranie­ro, che abita fra voi, come chi è nato fra voi; tu lo amerai come te stesso; poiché anche voi foste stra­nieri"?
In attesa che le urne dicano quali città vogliamo per i prossimi cinque anni consoliamoci con le parole di una sindaco, Giorgio La Pira, citate in apertura e con una provocazione che resta immutata: "Tettamanzi sindaco".

mercoledì 20 maggio 2009

C'è una speranza nelle città?


Il cardinal Dionigi Tettamanzi distilla sempre riflessioni interessanti. L'ultima è quella affidata oggi a Giangiacomo Schiavi sul Corriere della Sera sul ruolo della città di Milano alla vigilia di tante scommesse per il futuro, prima fra tutte quella dell'Expo. Il cardinale meneghino parla di Milano, ma potrebbe parlare di Roma o di Brescia, di Venezia o di Genova, perchè parla di una città che potrebbe essere la nostra città, una città smarrita, frantumata, incattività. Una città impaurita, una città non luogo fatta di tante città impenetrabili. "Ci sono tante città impenetrabili - osserva il cardinale parlando di Milano - la città della fiera e quella dell'Expo, della finanza, di un gruppo etnico, quella della periferia e del centro storico. Ma solo una città che ritrova l'ambizione della propria identità civica - pensata come sintesi viva di tutte le sue originalità - può tornare a fare appassionare al bene comune e a suscitare il desiderio di una partecipazione responsabile. Una città così ritiene dovere fondamentale garantire un'abitazione decorosa ai suoi abitanti, si preoccupa di tutelare tutti e in particolare i più deboli. Se in­vece si alimentano le contrapposizioni questa identità non si realizza, l’atteggiamento della cor­responsabilità decresce e scompare, ad alcune ca­tegorie di persone non vengono riconosciuti tutti i diritti". Parla di Milano, ma forse siamo un po' tutti milanesi in queste città dove il divieto diventa discriminazione, dove la paura e i timori diventano propaganda e le angosce si curano con la divisione e la contrapposizione invece che con la condivisione, la conoscenza dell'altro, la costruzione di una comunità che la storia ci ha dato contadina, che il futuro ci restituisce, giocoforza, multietnica e che qualcuno, forse, ci dovrebbe insegnare a gestire con meno pregiudizi e con meno paure.
Il cardinal Tettamanzi esorta a liberare le potenzialità di una città che un tempo fu capitale morale d'Italia. Quante rovine di capitali sparse per il paese ci toccherà ricostruire in questi anni? C'è un cardinale che ci dice che si può e mentre soffia la campagna elettorale con le sue esagerazioni, i suoi slogan spesso fuori misura, ci verrebbe voglia di sintetizzare anche noi un spot. Un messaggio che è allo stesso tempo, provocazione, riflessione e speranza: "Tettamanzi sindaco".