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lunedì 26 settembre 2011

Work in progress

Qualcuno avrà notato un rallentamento dell'attività di questo blog. Non disperate (ammesso che qualcuno lo sia) stiamo lavorando per voi: work in progress...

martedì 6 settembre 2011

I funerali di Mino Martinazzoli e le due facce della Repubblica


Profumavano di Prima Repubblica oggi pomeriggio i funerali di Mino Martinazzoli  a Brescia. Vedere sul sagrato del Duomo cittadino, mentre il feretro dell'ex ministro democristiano lasciava il cuore della città verso il cimitero di Caionvico, a due passi dalla sua casa, l'incedere stanco di Gerardo Bianco, lo sguardo smarrito di qualche parlamentare bresciano coetaneo dello "Strano democristiano" di Orzinuovi, la faccia smunta di Guido Bodrato, il volto segnato dalla vecchiaia di Virginio Rognoni o dei cantori della politica di quei tempi come Nuccio Fava, storico direttore e commentatore del Tg1, o Giovanni Minoli che proprio nelle ore dell'addio ha riproposto un contributo televisivo sul politico bresciano faceva un po' tv in bianco e nero, come se Jader Jacobelli dovesse improvvisare proprio lì l'ultima tribuna politica.
Mischiati a quei volti canuti, i politici di oggi, Pierluigi Bersani, Marco Follini, Rosy Bindi, Pierferdinando Casini, quelli che in un modo o nell'altro ne hanno raccolto l'eredità difficile in una politica tanto cambiata da apparire diversa, nella forma e nella sostanza. Certo su quel sagrato c'erano i reduci di una Prima Repubblica spazzata via da Tangentopoli, ingrigita dagli avvisi di garanzia e dalle lotte di corrente, quella che si trova compatta giusto dietro la bara di uno che di quelle lotte intestine ne avrebbe fatto volentieri a meno, che i provvedimenti giudiziari li ha visti invadere il salotto buono della politica italiana rimanendo attonito come si guarda un'esondazione prendere possesso, violenta e inarrestabile, della propria casa.
Certo su quel sagrato c'era la prima vituperata Repubblica, c'era mezza piazza del Gesù (quella ancora vivente vigile e collaborante perchè il tempo passa per tutti), ma sembrava che mancassero gli eredi (ad eccezione di qualche leader dell'opposizione in parlamento e qualche politico locale di maggioranza), gli eredi di una classe dirigente che, sia pur con tanti limiti, sapeva essere lungimirante, sapeva guardare oltre. Oltre se stessa, oltre il proprio consenso elettorale, sapeva costruire, come fecero i padri costituenti, qualcosa di duraturo. Mancava, lo hanno notato in molti, un rappresentante del Governo, oggi troppo impegnato, forse, nella politica del fare e del disfare, del mulinare senza costrutto, del seminare il nulla e raccogliere il niente. Se non fosse stato per l'imponenza dei corazzieri a fianco della corona della Presidenza della Repubblica (quasi commovente poco più in la  il piccolo cuscino di fiori con la scritta Giorgio Napolitano) sembrava quasi che mancasse lo Stato, quello tanto distratto da scialacquare la parte buona di un'eredità e tanto supponente da ritenere di non meritare maestri. Quello che pochi mesi fa fece dire ad un uomo di buon senso come Mino Martinazzoli "Vedo il declino, non la via d'uscita". Così mentre il suo feretro lasciava la piazza, guardavi quegli scampoli di Prima Repubblica affollare il sagrato del Duomo e ti assaliva un atroce pensiero: stavamo meglio quando stava peggio?

Omelia Ai Funerali Di Mino Martinazzoli

lunedì 5 settembre 2011

Martinazzoli e la politica dei bisogni

"Da questo momento (da quando Berlusconi entrò in politica, ndr) la politica non si occuperà più dei bisogni, ma degli interessi: e quando ci sono di mezzo gli interessi vince sempre il più forte"
Mino Martinazzoli a Giovanni Cerruti per La Stampa
(Febbraio 2011)
 Con l'addio a Mino Martinazzoli, salutiamo uno strano democristiano (non a caso è il titolo della sua biografia curata da Annachiara Valle), di quelli che hanno sempre pagato di persona i propri sbagli e le responsabilità oggettive (dall'assassino di Sindona in carcere alla fine della Dc con il naufragio del Ppi alle elezioni politiche che segnarono la discesa in campo di Silvio Berlusconi), di quelli che non sono mai stati reticenti, tanto schietti da apparire antipatici, tanto profondi da sembrare ermetici. Eppure le sue analisi sono sempre state lucide, tanto lucide che rilette ora sembrano i commenti a caldo dello spettacolo triste di una politica incapace persino di far quadrare i conti.
Che dire, guardando ad una manovra economica che si smentisce in tempo reale, di un Martinazzoli che spiega come ora "non c'è più una mediazione culturale adeguata, il che dà conto di una legislazione piuttosto casuale che sembra inseguire la contingenza invece di ragionare in termini di sviluppo storico"?
Oppure come non dargli ragione rileggendo una intervista a Liberal di un anno fa (erano i giorni della P3 e della politica votata agli affari) in cui spiegava: «Purtroppo ha trionfato già tanti anni fa l’antipolitica: l’idea cioè che l’analisi politica fosse un inutile orpello, che i partiti fossero degli oggetti d’antiquariato, e che bastasse essere un buon imprenditore per governare il Paese. Una volta nel 1994 incontrai Silvio Berlusconi e cercai di spiegargli che fare politica significava fare gli interessi degli altri e non i propri. Non ebbi successo. Viviamo una situazione in cui da un lato viene da pensare - parafrasando Gobetti - che Berlusconi sia l’autobiografia della Nazione, ma anche che Berlusconi abbia determinato un tale degrado riuscendo a tirar fuori il peggio dagli italiani. E allora potremmo arrivare ad affermare che la Nazione è l’autobiografia di Berlusconi»?
Sarà stato anche un crepuscolare, ma non le mandava a dire con quell'ironia che dava il meglio di se tra gli amici. Mi capitò un giorno di incappare in Martinazzoli al bar del suo paese natale, Orzinuovi, quel paese da dove aveva mosso i primi passi in politica, dove quel giorno era tornato per ricordare un vecchio sindacalista, pioniere dei patronati, una di quelle figure che avevano aiutato centinaia di famiglie di braccianti. Erano i giorni della vittoria di Berlusconi e al bar davanti ad un Campari tra amici, una sigaretta dopo l'altra, osservava come con la vittoria del centro destra, molti di quelli che gli stavano attorno non riuscivano a capacitarsi che al governo ci stavano gli eredi di ciò che loro, giovani democratico cristiani, avevano sempre combattuto sentendolo come un limite alla libertà e alla democrazia: il fascismo.
Ora che a quella novità si sono abituati in tanti, troppi forse, lui è sempre stato un osservatore distaccato degli eventi di questa politica degli interessi, di questa politica-spettacolo senza lungimiranza, tutta chiacchiere e distintivo. "Oggi - diceva, come quel giorno al bar di Orzinuovi - è in gioco non solo il destino della democrazia, ma anche il senso della politica".
Una meditazione che ha affidato anche alla bella autobiografia curata da Annachiara Valle: "Oggi guardo da lontano. Ma continuo ad essere convinto che, anche se non lo vedrò, tornerà un tempo meno inclemente per questo seme della nostra storia che non può essere diventato infecondo. Dovranno passare molte cose. Quello che c'è in campo oggi è più un detrito, un ingombro, che non la promessa di qualcosa. Dovranno arrivare delle generazioni che risentano queste cose  come cose nuove. Le risentano perchè la storia va così e non si inventa mai niente. Ho l'idea che in quella storia apparente mente chiusa ci siano delle ragioni che durano. E fra le cose che ho avuto la fortuna di imparare da quella storia, vorrei ricordare due concetti che mi sono cari: la mitezza della politica e il limite della politica. Quello del limite è un tema particolarmente importante. Continuo a non avere dubbi che, nel campo della illimitatezza della politica, che pure c'è stato, noi siamo stati quelli resistenti e vittoriosi contro il troppo della politica. Continuo a temere che oggi non contiamo più niente contro il niente della politica. Ma quello che mi conforta è sapere che ho avuto la fortuna di partecipare ad un viaggio che rende possibili gli incontri. E quel viaggio non fu un viaggio solitario.  Adesso, certo, lo è diventato. Perchè in verità, alla fine, si viaggia solo per tornare".
Buon viaggio Mino Martinazzoli