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mercoledì 9 settembre 2009

E' morto Mike Buongiorno: un padre della patria


Allegria!
(Mike Buongiorno)



Ha spento definitivamente la Tv Mike Buongiorno, classe 1924. Aldo Grasso lo ha definito "Padre della patria" perchè lui, come altri della sua generazione, hanno fatto gli italiani, quegli italiani analfabeti al 52%, quegli italiani divisi dai dialetti, ma uniti dal tubo catodico. Se n'è andato un grande della Tv. E per lui il saluto non può essere che: "Allegria!"


IL RICORDO DI MASSIMO GRAMELLINI SU "LA STAMPA" DI OGGI

Buongiorno
9/9/2009 - L'UOMO-QUIZ CHE FECE GLI ITALIANI
Un borghese piccolo grande
Da icona della piccola borghesia a "filosofo" del berlusconismo
L’Italia l’avrà fatta Garibaldi, ma gli italiani, se permettete, li ha fatti lui, che di italiano non aveva neppure il nome. E qui per italiani non s'intendono le minoranze snob delle metropoli, che lo hanno trattato con degnazione per tutta la vita e in morte lo rimpiangono come capostipite di una società televisiva meno ignorante e volgare di questa. Gli italiani veri, diceva Mike, vivono in provincia.

Elui li aveva frequentati e plasmati. Settimana dopo settimana nei suoi quiz. E sera dopo sera durante gli interminabili tour estivi nelle piazze, organizzati per rimpinguare lo stipendio Rai: un milione a puntata, che anche al cambio d’oggi sarebbe una paga di gran lunga inferiore a quella di tanti non insostituibili eredi.

La vera abilità di Mike è consistita nell’arrivare sempre primo. Primo a condurre programmi radiofonici nell’Italia della ricostruzione. Primo a fare quiz televisivi. Primo a lasciare la Rai per la tv commerciale, le televendite e i giochi a premi. Fra i primi anche ad andarsene verso la nuova frontiera della tivù a pagamento, sulla scia di Fiorello e con la rabbia di chi si sentiva trattato come un rudere da dirigenti ingrati. Ogni volta che da qualche parte stava per cominciare il futuro, arrivava lui. Il suo suggerimento ai giovani era proprio questo: per sfondare nella vita non basta fare meglio di tutti quello che già fanno gli altri, dovete inventarvi qualcosa di nuovo. È una strategia di marketing che si insegna nelle università, «l’Oceano Blu», ma lui anziché teorizzarla la applicava. Come dice un altro genio della tv, Carlo Freccero, per poter restare lo specchio immutabile degli italiani Mike era costretto a cambiare di continuo. Ma senza dichiararlo apertamente, perché il pubblico è conservatore di natura e non glielo avrebbe mai perdonato.

Ancor più delle sue gaffe, ci resteranno i suoi tormentoni: «fiato alle trombe», «un cantante che va per la maggiore» e naturalmente «allegria», la cui ripetizione ossessiva serviva a marcare i vari passaggi del rito televisivo di cui era il serissimo officiante. Sì, serissimo, perché sarebbe impossibile rintracciare un'ombra di ironia nelle sue celebri lavate di capo alle vallette o nelle tecniche di seduzione con cui si rivolgeva agli stomaci degli spettatori per piazzare latticini, insaccati e persino l'amico Silvio, alla vigilia del suo esordio in politica: «Ci sono di nuovo le elezioni, come vola il tempo, e stavolta si presenta anche Berlusconi, uno di cui vi potete fidare perché con me ha sempre mantenuto le promesse». Ma qui siamo già nel Mike 2, il banditore della tv commerciale. Umberto Eco lo aveva ormai elevato a icona della mediocrità ben poco aurea dei tempi moderni. Chissà se lo avrà mai letto: lui preferiva le cronache di atletica leggera, l'unica materia in cui avrebbe potuto presentarsi come concorrente al Rischiatutto. L’incontro con Berlusconi fu memorabile. Socrate aveva trovato il suo Alcibiade, Aristotele il suo Alessandro, Seneca il suo Nerone. Silvio convocò le sottilette Kraft e altri sponsor davanti al laghetto di Milano 2, poi montò su una cassetta e disse: «Amici, ho qui Mike Bongiorno che verrà a lavorare da noi, mi date una mano?». Gliela diedero, e lui ne diede due a Mike stracolme di bigliettoni, pagandolo in un anno come la Rai in tutta la vita.

È stato davvero il filosofo del berlusconismo? E qui torniamo al punto di partenza: l’Italia di provincia, quella vera, formata a immagine e somiglianza della tv. Nell’immediato dopoguerra fu lui, torinese d'America naturalizzato milanese, la faccia del Nord benestante che milioni di massaie e contadini analfabeti impararono a conoscere e a sognare. Di quel popolo Mike parlava così: «È gente buona, semplice, sono ingenui come bambini. Li conquisti con due parole, una speranza e un sorriso». Lo ripeteva a tutti. I fenomeni della sinistra se ne infischiavano, Silvio prendeva appunti.

L’abbassamento dell’asticella del buongusto e la definitiva trasformazione dei quiz di cultura in giochi e lotterie (anche quelli, con la Ruota della Fortuna, li ha comunque battezzati lui) lo fecero invecchiare di colpo. Non era più il suo mondo. Mike, così serio, professionale, anche cattivo e non solo con i concorrenti (ricorderete il Tapiro sfasciato sul pavimento e le liti in diretta con Loretta Goggi e Vittorio Sgarbi) aveva però un debole per i personaggi ossessivi di Lascia o Raddoppia? e del Rischiatutto. Gente monomaniaca, ma il cui messaggio al pubblico era che i soldi bisognava guadagnarseli con la schiena curva sui manuali di storia e di ornitologia (ahi ahi ahi signora Longari), anziché accendendo risposte multiple o ricorrendo agli aiutini.

Come capitò a Montanelli, altro campione della piccola borghesia con il quale condivise la prigionia nazista a San Vittore, negli ultimi anni di vita ha assistito alla rivalutazione della sua opera da parte dell’intellighenzia che si era sempre presa beffe di lui. Il percorso verso la santità fu accelerato dalla decisione di trasferirsi a Sky, la tv del più grande padrone di media del mondo che l'anomalia italiana ha trasformato in ultimo avamposto della democrazia d'opposizione. Ma un giudizio sereno non può che assegnare a Mike il ruolo di unico e vero ideologo del berlusconismo: inteso non come movimento politico, ma come fenomeno di massa, ebbene sì, culturale. Il contatto con la gente comune, la centralità della televisione, il linguaggio semplice ma non sgrammaticato, le gaffe, l’amore per il denaro e l’allergia per i salotti del potere. Tutto in lui faceva sì che la sua gente, guardandolo, dicesse: sicuramente non è uno di loro e forse è addirittura uno di noi. Uno che fa domande a cui non saprebbe mai rispondere. Come i grandi filosofi, appunto.

Massimo Gramellini


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