mercoledì 17 febbraio 2010
Via Padova: l'importanza di capire i fenomeni per governarli
Tornare su via Padova a giorni di distanza dalla notte "dei lunghi coltelli", lontano dal ronzio delle telecamere, dagli animi esacerbati, dagli scontri e dalla politica che tutto strumentalizza è importante per capire. E fenomeni come questi è importante capirli per non subirli, comprenderli per governarli.
Su questo fronte il Corriere di oggi e la Curia di Milano offrono due interessanti chiavi di lettura su due fronti paralleli: i quartieri ghetto e le tensioni etniche. Vediamo.
I QUARTIERI GHETTO.
"Questo genere di trasformazione urbana è scritto nella struttura del patrimonio immobiliare del nostro Paese. Primo: gli immobili costruiti nel dopoguerra oggi sono spesso in pessimo stato. Secondo: la proprietà è molto frammentata. L'85% degli italiani è proprietario di casa contro il 60 per cento della media Ue. E più sono i proprietari più è difficile mettersi d'accordo sui lavori da fare. Di conseguenza aumenta il degrado". A parlare è Armando Borghi, direttore del master sul mercato immobiliare della Sda Bocconi che spiega come "Quello che è successo in via Padova a Milano può servire da paradigma e valere in futuro per altre città". I quartieri ghetto, infatti, nascono tutti secondo lo stesso schema: case fatiscenti affittate agli stranieri, gli unici ad accettare di vivere in appartamenti disastrati; screzi con il vicinato perchè per sostenere l'affitto gli immigrati sovraffollano l'appartamento; i proprietari italiani che progressivamente svendono e nuovi inquilini stranieri che colonizzano l'immobile. Il passo successivo è quello di passare dall'affitto alla proprietà come è accaduto tra il 2003 e il 2006 complici i bassi tassi di interesse, finanziarie disposte a sostenere anche il 110 per cento del costo dell'immobile e perizie spesso gonfiate a certificare la qualità dell'acquisto (una prassi che soddisfava tutti: mediatori immobiliari, direttori di banca, finanziarie).
Ma come frenare il fenomeno? Fermarlo è difficile, ma non impossibile. Se non è possibile bloccare la vendita di un appartamento è possibilissimo arginare il degrado. "Perchè - osservano gli esperti - è il degrado (che significa bassi costi) che attira gli stranieri e non viceversa".
"Da noi la situazione è migliorata - spiega Alessandro Berlincioni, presidente della Federazione dei mediatori e agenti immobiliari di Torino -. A San Salvario dieci anni fa c'era un'enorme concentrazione di droga, delinquenza e immigrazione. Poi è stato fatto qualche intervento urbanistico azzeccato, hanno incominciato ad aprire gallerie e locali di tendenza e la situazione è migliorata". All'estero, dal Belgio all'Olanda, si studiano progetti per il reinserimento dei vecchi abitanti o si cerca di dar vita a quartieri in cui tutti i ceti sociali possano convivere. Esperimenti difficili, operazioni che richiedono fatica, un approccio sociologico e non solo economico al tema con la convinzione che il mix sociale potrebbe essere la chiave di volta per catalizzare una convivenza senza tensioni.
LE TENSIONI ETNICHE
Eccoci quindi al secondo aspetto del problema. La convivenza, le tensioni sociali. Gli episodi di via Padova hanno portato alla ribalta un fenomeno che già altre volte aveva fatto capolino nella cronaca nera milanese: la guerra tra bande straniere. La nostra adolescenza alimentata da film come "Warriors - I guerrieri della notte" o come "I ragazzi della 56esima strada" ci fa vivere il fenomeno con un'aurea di epicità, ma c'è poca poesia nel disagio giovanile. La diocesi di Milano e l'Osservatorio regionale per l'integrazione e la multietnicità hanno affrontato il problema cercando di capire il fenomeno e i moti di ribellione che spesso, più degli italiani, colpiscono il mondo degli immigrati. Ne è uscita una indagine presentata in queste ore dai ricercatori Maurizio Ambrosini, Paola Bonizzoni ed Elena Caneva che indica il ricongiungimento famigliare come istituto sul quale lavorare per disinnescare il rischio banlieue.
"Dai risultati della ricerca - spiega una nota - emerge che i giovani ricongiunti hanno più difficoltà di relazione con i genitori dei giovani nati in Italia. Vive con loro (o anche con i fratelli) l’86% dei giovani stranieri nati in Italia; mentre tra i giovani ricongiunti la percentuale scende al 68%. I restanti vivono con un solo genitore o con altri parenti. Sia gli uni, sia gli altri reputano molto importante per la definizione della propria identità il riferimento alla nazionalità e alla condizione di straniero (il 60% tra i ricongiunti, il 58% tra i nati in Italia), i restanti considerano più determinante il fatto di essere giovani e studenti. La ricerca ha inoltre individuato quattro tipologie principali fra i giovani di origine straniera. Appartengono agli “adolescenziali” quei ragazzi, per lo più nati in Italia, per i quali lo scontro con i genitori è legato non al contrasto tra valori diversi, ma all’età. Costoro rappresentano il 17,6% del campione. Ci sono poi i “ribelli” (30,6%), in genere maschi nati all’estero, spesso arrivati da poco in Italia; costoro esibiscono un forte legame con il Paese d’origine. In questo caso sono proprio le difficoltà del ricongiungimento a dare origine allo scontro con i genitori. Gli “integrati” (22,6%) sono ragazzi e ragazzi ormai quasi adulti per i quali i conflitti tipici dell’adolescenza sono stati superati. Infine “i conservatori” (29,2%), per lo più maschi, tardo adolescenti, sembrano aver interiorizzato aspetti della cultura d’origine, pur senza entrare in conflitto con la società in cui sono nati e cresciuti".
Che fare? "Il ricongiungimento familiare è ancora un processo lungo e difficoltoso, incoraggiarlo e favorirlo sarebbe una scelta politica lungimirante - sostiene il sociologo Maurizio Ambrosini -. Se avessimo più famiglie straniere e meno immigrati soli, spesso uomini adulti, avremmo anche più integrazione. E fatti come quelli di via Padova, avrebbero meno probabilità di accadere. Insomma per disinnescare il rischio che, come è accaduto nelle banlieue parigine, anche le periferie di Milano esplodano, sarebbe saggio promuovere l’integrazione anche incoraggiando i ricongiungimenti familiari».
Insomma, ci attende un futuro di lavoro lungo e difficile, in cui capire prima di giudicare. E in questo Paese degli slogan si rischia di pesare acqua in un mortaio fino alla prossima via Padova d'Italia.
Su questo fronte il Corriere di oggi e la Curia di Milano offrono due interessanti chiavi di lettura su due fronti paralleli: i quartieri ghetto e le tensioni etniche. Vediamo.
I QUARTIERI GHETTO.
"Questo genere di trasformazione urbana è scritto nella struttura del patrimonio immobiliare del nostro Paese. Primo: gli immobili costruiti nel dopoguerra oggi sono spesso in pessimo stato. Secondo: la proprietà è molto frammentata. L'85% degli italiani è proprietario di casa contro il 60 per cento della media Ue. E più sono i proprietari più è difficile mettersi d'accordo sui lavori da fare. Di conseguenza aumenta il degrado". A parlare è Armando Borghi, direttore del master sul mercato immobiliare della Sda Bocconi che spiega come "Quello che è successo in via Padova a Milano può servire da paradigma e valere in futuro per altre città". I quartieri ghetto, infatti, nascono tutti secondo lo stesso schema: case fatiscenti affittate agli stranieri, gli unici ad accettare di vivere in appartamenti disastrati; screzi con il vicinato perchè per sostenere l'affitto gli immigrati sovraffollano l'appartamento; i proprietari italiani che progressivamente svendono e nuovi inquilini stranieri che colonizzano l'immobile. Il passo successivo è quello di passare dall'affitto alla proprietà come è accaduto tra il 2003 e il 2006 complici i bassi tassi di interesse, finanziarie disposte a sostenere anche il 110 per cento del costo dell'immobile e perizie spesso gonfiate a certificare la qualità dell'acquisto (una prassi che soddisfava tutti: mediatori immobiliari, direttori di banca, finanziarie).
Ma come frenare il fenomeno? Fermarlo è difficile, ma non impossibile. Se non è possibile bloccare la vendita di un appartamento è possibilissimo arginare il degrado. "Perchè - osservano gli esperti - è il degrado (che significa bassi costi) che attira gli stranieri e non viceversa".
"Da noi la situazione è migliorata - spiega Alessandro Berlincioni, presidente della Federazione dei mediatori e agenti immobiliari di Torino -. A San Salvario dieci anni fa c'era un'enorme concentrazione di droga, delinquenza e immigrazione. Poi è stato fatto qualche intervento urbanistico azzeccato, hanno incominciato ad aprire gallerie e locali di tendenza e la situazione è migliorata". All'estero, dal Belgio all'Olanda, si studiano progetti per il reinserimento dei vecchi abitanti o si cerca di dar vita a quartieri in cui tutti i ceti sociali possano convivere. Esperimenti difficili, operazioni che richiedono fatica, un approccio sociologico e non solo economico al tema con la convinzione che il mix sociale potrebbe essere la chiave di volta per catalizzare una convivenza senza tensioni.
LE TENSIONI ETNICHE
Eccoci quindi al secondo aspetto del problema. La convivenza, le tensioni sociali. Gli episodi di via Padova hanno portato alla ribalta un fenomeno che già altre volte aveva fatto capolino nella cronaca nera milanese: la guerra tra bande straniere. La nostra adolescenza alimentata da film come "Warriors - I guerrieri della notte" o come "I ragazzi della 56esima strada" ci fa vivere il fenomeno con un'aurea di epicità, ma c'è poca poesia nel disagio giovanile. La diocesi di Milano e l'Osservatorio regionale per l'integrazione e la multietnicità hanno affrontato il problema cercando di capire il fenomeno e i moti di ribellione che spesso, più degli italiani, colpiscono il mondo degli immigrati. Ne è uscita una indagine presentata in queste ore dai ricercatori Maurizio Ambrosini, Paola Bonizzoni ed Elena Caneva che indica il ricongiungimento famigliare come istituto sul quale lavorare per disinnescare il rischio banlieue.
"Dai risultati della ricerca - spiega una nota - emerge che i giovani ricongiunti hanno più difficoltà di relazione con i genitori dei giovani nati in Italia. Vive con loro (o anche con i fratelli) l’86% dei giovani stranieri nati in Italia; mentre tra i giovani ricongiunti la percentuale scende al 68%. I restanti vivono con un solo genitore o con altri parenti. Sia gli uni, sia gli altri reputano molto importante per la definizione della propria identità il riferimento alla nazionalità e alla condizione di straniero (il 60% tra i ricongiunti, il 58% tra i nati in Italia), i restanti considerano più determinante il fatto di essere giovani e studenti. La ricerca ha inoltre individuato quattro tipologie principali fra i giovani di origine straniera. Appartengono agli “adolescenziali” quei ragazzi, per lo più nati in Italia, per i quali lo scontro con i genitori è legato non al contrasto tra valori diversi, ma all’età. Costoro rappresentano il 17,6% del campione. Ci sono poi i “ribelli” (30,6%), in genere maschi nati all’estero, spesso arrivati da poco in Italia; costoro esibiscono un forte legame con il Paese d’origine. In questo caso sono proprio le difficoltà del ricongiungimento a dare origine allo scontro con i genitori. Gli “integrati” (22,6%) sono ragazzi e ragazzi ormai quasi adulti per i quali i conflitti tipici dell’adolescenza sono stati superati. Infine “i conservatori” (29,2%), per lo più maschi, tardo adolescenti, sembrano aver interiorizzato aspetti della cultura d’origine, pur senza entrare in conflitto con la società in cui sono nati e cresciuti".
Che fare? "Il ricongiungimento familiare è ancora un processo lungo e difficoltoso, incoraggiarlo e favorirlo sarebbe una scelta politica lungimirante - sostiene il sociologo Maurizio Ambrosini -. Se avessimo più famiglie straniere e meno immigrati soli, spesso uomini adulti, avremmo anche più integrazione. E fatti come quelli di via Padova, avrebbero meno probabilità di accadere. Insomma per disinnescare il rischio che, come è accaduto nelle banlieue parigine, anche le periferie di Milano esplodano, sarebbe saggio promuovere l’integrazione anche incoraggiando i ricongiungimenti familiari».
Insomma, ci attende un futuro di lavoro lungo e difficile, in cui capire prima di giudicare. E in questo Paese degli slogan si rischia di pesare acqua in un mortaio fino alla prossima via Padova d'Italia.
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